sabato 7 luglio 2012

Il colloquio Scalfari-Napolitano

Si attendeva con impazienza quello che, a detta di molti, sarebbe stato l’articolo dell’anno, l’incontro chiarificatore tra il gotha del giornalismo italiano, Eugenio Scalfari, e il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, mirato a tranquillizzare gli italiani sulla difficile situazione del paese.
Ed ecco che la sorta di coperta di Linus su carta stampata è finalmente pronta. Il titolo sembra rassicurante: “Perche l’Italia deve farcela”. Ma arrivati a fondo pagina, negli occhi della maggior parte dei lettori con a cuore le sorti del paese, si sono presentati scenari alquanto convulsi e poco chiari.
Quello che leggiamo, infatti, altro non è che una pagina di diario che attesta il trascorrere di una giornata di due amici di vecchia data alle prese con discorsi pseudo-intellettuali, passeggiate, upupe e cinghialotti che sembrerebbero la rivisitazione dei maiali orwelliani, nei dintorni della dimora presidenziale. Insomma, un articolo costruito sul nulla.
Poco male se i protagonisti del non-articolo etichettano e spiegano la raffica di critiche piombate sulla testa del Presidente, riguardante la sua posizione inerente la trattativa tra Stato e mafia con lo stesso “costruito sul nulla”. Ma non è, non può e non dev’essere così. A gridarlo sono i milioni di cittadini, i parenti delle vittime di mafia che non possono accettare anche solo l’ipotesi che i rappresentanti dello Stato abbiano anche solo letto il papello di Riina o che uomini condannati per mafia siedano ancora in Parlamento. Quegli stessi cittadini hanno il diritto e il dovere di gridare la propria indignazione, di avere risposte senza essere considerati decerebrati ossessionati e ossessionanti e senza che il Presidente della Repubblica o il giornalista di turno liquidi il tutto con tono seccato e spicciolo. Ancor più inacettabile è che il Presidente della Repubblica Italiana, colui che ci rappresenta, colui che dovrebbe essere super-partes s’impegni a difendere un privato cittadino, come Nicola Mancino, dalla posizione ambigua e, comunque, al vaglio della Magistratura. Quest’ultimo, da quanto emerge dalle intercettazioni, pressa inesorabilmente il consigliere del Quirinale, D’Ambrosio, affinchè quest’ultimo parli con Napolitano o riesca in modo lecito o no, ad organizzare un incontro con il Procuratore Grasso “in maniera riservatissima”.
 A quanto pare, le parole della coppia Mancino-D’Ambrosio hanno fatto breccia nel cuore del magnanimo Giorgio, che s’impegna a difendere tutto e tutti a spada tratta, senza sentir ragione. E chi se ne frega della sparizione dei computer di Falcone, dell’agenda rossa di Paolo Borsellino, delle dichiarazione di pentiti e dell’irresponsabilità di uomini come Conso!
Brecht bramava dire “beato quel popolo che non ha bisogno di eroi”. Ed è ormai solo a loro, vista la nostra classe politica, che ci aggrappiamo. Ed è per questo che lo scorso 23 maggio ero a Palermo, per rendere omaggio ad alcuni eroi. Con gli occhi gonfi di lacrime, ripenso a quella ridicola corona di fiori posta in via D’Amelio, circa 50 giorni fa, da parte del capo dello Stato, e la voglia di buttarla via, strapparla in mille pezzi. Sarebbe stata la piccola rivincita di un giovane italiano. Non un giovane invocato da Napolitano nei suoi discorsi demagogici, ma un giovane di Paolo Borsellino, alla disperata ricerca di un po’ di fresco profumo di libertà. Ed è il 19 luglio, mentre renderemo omaggio ad altri eroi indimenticabili che, tutti insieme, dimostreremo con fatti, con valori e buoni propositi e non con articoli che l’Italia, la vera Italia ce la farà e che forse ce l'ha già fatta.

Nicola De Filippis