martedì 10 ottobre 2017

ODG sull'Ilva approvato al congresso PRC Puglia

La vicenda Ilva rappresenta in maniera emblematica le contraddizioni del modello neoliberista prevalso negli ultimi decenni. La privatizzazione del 1995 ha consegnato a un gruppo privato il controllo di un asset strategico per l'economia italiana; la gestione della famiglia Riva si è caratterizzata per i metodi padronali, che hanno esasperato lo sfruttamento dei lavoratori e l'inquinamento ambientale. I governi succedutisi da allora hanno avallato gli interessi della proprietà, disattendendo le norme di prevenzione. Solo l'intervento della magistratura nel 2012 ha scoperchiato un vaso di Pandora fatto di gestione dissennata degli impianti, controllo autoritario delle maestranze e collusione fra azienda e responsabili politico-istituzionali a tutti i livelli.
In tutto questo tempo Rifondazione Comunista, attraverso l'attività dei compagni della cellula di fabbrica, ha denunciato, spesso in solitudine, il sistema di potere messo in piedi dai Riva e i suoi effetti nefasti. Dal 2012 la situazione di Ilva ha subito significativi mutamenti: all'estromissione dei Riva ha fatto seguito il commissariamento da parte dello Stato. In cinque anni il governo ha cambiato più volte strategia, non realizzando i principali investimenti previsti dall'Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) per ridurre drasticamente le emissioni inquinanti. Infine si è deciso di mettere a bando la vendita dell'azienda. La "cordata" vincitrice, capeggiata dalla multinazionale Arcelor Mittal, ha presentato delle proposte inaccettabili. Il piano ambientale, già approvato dal governo, allunga i tempi di realizzazione delle principali prescrizioni, non introduce nessuna significativa innovazione tecnica e soprattutto non prende in considerazione la Valutazione del Danno Sanitario.  Il piano industriale, che sarà oggetto di trattativa sindacale, prospetta 3.000 esuberi nel solo stabilimento di Taranto, la riassunzione dei restanti addetti con contratti a tutele crescenti, previo annullamento di anzianità e diritti acquisiti. I soli a beneficiare di questa operazione saranno i creditori di Ilva, a partire dalle grandi banche, che incasseranno il ricavato della vendita.
Rifondazione Comunista ritiene che non si possa ripetere l'esperienza del 1995. Non si può consentire che un'azienda strategica venga gestita secondo una mera logica di profitto, a scapito del diritto alla salute e al lavoro. Va rilanciato un intervento pubblico che veda coinvolti i lavoratori e le comunità locali, e che persegua prioritariamente la conversione ecologica delle produzioni. Riteniamo imprescindibile una Valutazione del Danno Sanitario per le attività produttive. Crediamo che sia necessaria una significativa riduzione dell'orario di lavoro e il riconoscimento ai lavoratori Ilva di benefici previdenziali specifici in virtù dell'esposizione pregressa e attuale a sostanze nocive.
Rifondazione Comunista continuerà ad avere un ruolo attivo nelle lotte dei lavoratori di Ilva e dei cittadini di Taranto, a partire dalle mobilitazioni dei prossimi giorni, perché lavoro e salute vengano garantiti come aspetti inscindibili di una vita dignitosa.

martedì 3 ottobre 2017

I troppi volti di Emiliano di Angelo Rossano

L’ultimo fronte aperto è quello dell’autonomismo. «Gli Stati nazionali – ha detto ieri in sintesi il governatore Emiliano in una trasmissione radiofonica della Rai - ancora oggi interferiscono e non riescono a gestire le grandi questioni di loro competenza come immigrazione, difesa e fisco». Un’affermazione fatta all’indomani del disastro spagnolo e 
discutendo proprio del referendum per l’indipendenza della Catalogna. Quindi un’affermazione non improvvisata, ma anzi corroborata dall’idea che non sia «più accettabile l’idea che il Nord sostenga totalmente il Mezzogiorno: io non sono – precisa il governatore - su una posizione diversa rispetto a Toti, Maroni e Zaia». Quindi Emiliano sembra voler affermare un modello che richiama l’autonomismo in camicia verde, una sorta di neoleghismo del Sud all’incontrario. Lo Stato, dunque, interferisce. Del resto -ci deve essere questo alla base del ragionamento- non ha forse Emiliano vinto il referendum contro Renzi che prevedeva di limitare le aree di competenza delle Regioni? Si immaginano facilmente i temi sottintesi dal presidente della Regione: c’è l’approdo Tap (che la Regione vorrebbe in un punto diverso da quello stabilito), ma nel non detto ci sono senz’altro anche Ilva, Trivelle, decarbonizzazione e Xylella. Una posizione politica che afferma il primato del «noi» (pugliesi e meridionali), «orgogliosamente noi», fieri anche se poveri, sugli altri. Ogni forma di forte identificazione, però, presuppone -e quindi crea- separazione. Insomma, questo è un sentiero politico rischioso il cui punto di arrivo è incomprensibile, inconfessabile oppure inesistente.
Fedele a un modello di comportamento politico che ha contraddistinto la sua azione, Emiliano aggiunge un nuovo profilo alla poliedrica sfaccettatura del suo agire. Zelig è al governo. Ora è autonomista. Ma è anche ambientalista. Emiliano – scrisse già Francesco Strippoli sul Corriere - utilizza l’ambiente per caratterizzarsi politicamente: «L’ambiente diventa così il pilastro portante che tutto regge e connette», insomma – si disse - una via di mezzo tra Schwarzenegger e Al Gore. Ma Emiliano è anche berlusconiano, nel senso della manifesta simpatia che si rese chiassosamente palese con lo striscione di saluto a Silvio sventolante dai balconi del municipio. È pentastellato, fino ad offrire un ruolo in giunta ai Cinque stelle. È neoborbonico, se si pensa alla mozione sulla giornata della memoria. È no-vax e no tap. Tante maschere confondono e non rendono possibile capire quale intenda indossare per la Puglia. Quella che a noi preme di più.

http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/bari/politica/17_ottobre_02/i-troppi-volti-emiliano-a00ff4dc-a79d-11e7-b552-a1014f696a68.shtml

domenica 30 aprile 2017

IL PRC CONTRO IL G7 A BARI: RIBELLARSI È GIUSTO

Con un imponente schieramento di forze dell'ordine e conseguenti misure da coprifuoco e limitazioni alla libertà di circolazione, Bari accoglierà, nei giorni 11, 12 e 13 maggio, i ministri economici dei cosiddetti paesi industrializzati del mondo occidentale: il G7.
Il mondo delle banche e della finanza, i responsabili di scelte economiche che affamano milioni di persone e interi popoli occuperanno la città.
Le stesse politiche che, in nome del profitto, sfruttano i lavoratori, si appropriano delle risorse del pianeta, inquinano l’ambiente, generano guerre e migrazioni, alimentando razzismo e disgregazione sociale.
Il Governo italiano è dentro queste dinamiche: ne sono esempio il taglio di servizi e di diritti, gli ingenti aiuti alle banche, l’aumento delle spese militari, la svendita del patrimonio pubblico, la privatizzazione dei beni comuni, le misure securitarie contro i poveri, i migranti, chi dissente.
La Puglia conosce gli effetti di queste politiche scellerate perpetrate sulle spalle e contro il consenso delle comunità, dall’ILVA alla Tap alle trivellazioni in mare, al destino dell’Acquedotto Pugliese.
Ribellarsi a questo stato di cose è giusto e doveroso.
È necessario che tutte le energie democratiche, antagoniste, portatrici di istanze di democrazia e di giustizia sociale si attivino in modo unitario e plurale per manifestare contro il G7 e ciò che esso rappresenta.
Per questo Rifondazione Comunista sosterrà le iniziative conflittuali e critiche nei giorni del vertice, a cominciare dalla giornata dell'11 maggio con l'iniziativa “Loro sfruttamento e guerre - Noi pace e diritti. Ribellarsi è giusto.”, promossa dal Comitato “G7 No Grazie”, come momento di confronto aperto di opposizione e di costruzione dell’alternativa.
Bari, 30 aprile 2017
Partito della Rifondazione Comunista Bari
Giovani Comunisti Bari

lunedì 12 ottobre 2015

Documento Commissione Politica

Documento Commissione Politica
Conferenza della Federazione di Bari

            L'avvento di una nuova fase politica ed economica, e di congiuntura nazionale, europea ed internazionale, del conflitto capitale – lavoro, che vede sempre più schiacciante la vittoria delle classi padronali, è il substrato su cui l'azione politica della nostra giovanile del partito si trova ad operare.
            I vati del neoliberalismo internazionale reggono oggi le fila dell'agenda politica ed economica dell'Unione Europea e delle altre istituzioni  del capitalismo finanziario mondiale, non legittimate da tutti i parlamenti e ancor meno dai popoli degli stati-nazione ad esse aderenti: l'esautorazione delle istituzioni democratiche e dei mandati elettoriali e referendarie sono sotto gli occhi di tutti.
            L'attacco allo stato sociale e al diritto al lavoro, frutto in Italia più che altrove dell'azione parlamentare del Partito Comunista Italiano e dell'azione di piazza dei movimenti e dei partiti della sinistra rivoluzionaria risulta essere la bussola che dirige l'azione degli esecutivi degli ultimi vent'anni: i tagli ai fondi pubblici destinati alla sanita, all'istruzione, alla ricerca e alle aziende municipalizzate, imposti da spending review e fiscal compact si fanno di anno in anno più ingenti, mentre cresce il sotegno bipartisan ad istituti e fondazioni di diritto privato.
            Vengono così ad essere sacrificati sull'altare dei profitti il diritto alla salute, quello allo studio e ad una vita dignitosa: al giorno d'oggi il servizio sanitario di base non è più garantito a tutti, mentre scuole superiori ed università sono sempre più esautorate degli spazi democratici di discussione e pianificazione comune da parte del personale della scuola.
            In queste la privatizzazione dei saperi è sempre più la parola d'ordine egemone all'interno degli organismi di governo delle stesse e delle lobby che sempre più gestiscono paternalisticamente la loro progressiva aziendalizzazione.
            D'altra parte l'istituzione dell'alternanza scuola-lavoro segna uno dei prodotti più "marci" della combinazione dei decreti attuativi del Jobs Act e della Buona Scuola. Tale istituto vuole imporsi come nuovo paradigma di sfruttamento al minor costo possibile che Confindustria e governi vogliono sia il pane quotidiano dei lavoratori e delle lavoratrici di oggi e di domani.
            Ridare centralità politica e culturale a lavoratori e lavoratrici, rendendo coscienti delle analogie piuttosto che delle divergenze coloro che hanno contratti con grado di precarietà diverso, che sono in cerca di lavoro e che sono disoccupati, assai utile alle logiche "dividi et impera", armi preferite da parte dei padroni, da ultimo con la contrapposizione del "bravo italiano" e del "cattivo migrante", ci pare il primo passo necessario per il ribaltamento dei rapporti di forza nel conflitto capitale-lavoro.
            Ribaltamento da perseguire puntando sull'organizzazione dei soggetti del conflitto, all'interno delle scuole, delle università e dei luogi di lavoro in senso generale: fuori da ogni tifoseria tra "collettivi" e "associazioni studentesche", "sindacati confederali" e "sindacati conflittuali", è imprescindibile agire politicamente a seconda delle condizioni oggettive con cui ci si trova a fare i conti in una data realtà e un dato territorio, tornando a sporcarsi le mani quanto più possibile con i problemi della vita studentesca e lavorativa quotidiana.

            La nostra giovanile ha quindi il dovere di agire in ogni dove per ribadire il suo supporto agli sfruttati di ogni luogo e ogni tempo.

Lavoro e precarietà: contro le utopie liberali, riappropriarsi dei tempi di lavoro e di vita

Lavoro e precarietà: contro le utopie liberali, riappropriarsi dei tempi di lavoro e di vita

            L’applicazione progressiva dei decreti attuativi del Jobs Act ci regala uno scenario del mondo del lavoro totalmente avvolto nelle spire della deregulation.
Giunge a compimento un percorso trentennale, che, dall’abolizione della scala mobile all’inaugurazione della stagione della concertazione, dal pacchetto Treu alla Legge Biagi, alle direttive di liberalizzazione del mercato del lavoro operate dai ministri Sacconi, Fornero e da ultimo Poletti, ha mandato in soffitta gran parte dei diritti conquistati dalla classe lavoratrice sino a tutti gli anni ’70.
Il risultato è un ribaltamento frontale del conflitto capitale-lavoro: è ormai evidente che la lotta di classe oggi è portata avanti dai padroni contro le lavoratrici e i lavoratori.
La libertà di licenziamento è diventata la stella polare delle politiche aziendali, frutto di governi sempre più proni alle richieste di Confindustria.

            Nel panorama pugliese abbiamo assistito più volte a ristrutturazioni aziendali che, lungi dall’essere avversate, ma talora favorite da un governo regionale di centrosinistra, hanno determinato licenziamenti ed esternalizzazioni di settori. In particolare le fabbriche metal meccaniche e i grandi centri commerciali si sono serviti e continuano a servirsi di tali strumenti (e di tali coperture), per poter incrementare i propri profitti senza garantire soluzioni alternative a chi resta disoccupato.
OM, Ansaldo, Natuzzi, Ikea, Coop, Mediaworld e call-center dislocati nelle varie città, per citare dei casi a titolo di esempio, rappresentano nella nostra provincia le realtà in cui più di tutte la crisi economica viene fatta pesare esclusivamente sulle spalle dei lavoratori e delle lavoratrici, onde garantire in ogni caso profitti quanto maggiori possibili ad imprenditori sempre più spregiudicati.
Ha ormai da anni rilevanza nazionale la crisi che investe l’Ilva, laddove in troppi ormai vedono solo un conflitto tra lavoro ed ambiente: a livello politico le risate dell’ex Presidente della Regione col maggiordomo dei Riva sono la cartina di tornasole di uno stretto rapporto tra vertici aziendali e politica regionale, che non potrà che intensificarsi con la recente vittoria di Emiliano alle elezioni regionali.

            Il fronte sindacale non è parso, salvo alcune eccezioni legate a singole vertenze, capace di reagire alle offensive portate avanti dagli esecutivi: la divisione tra sindacati confederali, che hanno fatto della contrattazione al ribasso la propria bussola d’azione, e sindacati extraconfederali, troppo isolati e poco incisivi, ha pesato fortemente sulla possibilità di incidere nella realtà.
Ha pesato fortemente la volontà politica del più grande sindacato italiano di astenersi dalla pratica dello sciopero generale, pratica di lotta a cui sono ricorsi tutti i sindacati europei, e con risultati non del tutto trascurabili.
Volontà politica di non andare addosso ad un “governo amico”, che determina anche una forte spoliticizzazione dei e delle iscritte, spesso più per convenienze e per convenzioni coi caf, che per adesione ad un progetto politico - sindacale. Adesione politica che viene meno anche nei confronti delle realtà della sinistra radicale da sempre impegnata, talora a parole, più raramente nei fatti, nella difesa dei loro posti di lavoro e dei loro diritti.
Pur tuttavia assistiamo a fenomeni di auto-organizzazione dei lavoratori e della lavoratrici, in particolare in contesti lavorativi legati alla logistica, in particolare tra l’Emilia-Romagna e la Toscana, che paiono avere un respiro politico più ampio e riuscire a “portare a casa” diverse vertenze: in essi la creazione di un’associazione para-sindacale ha permesso a compagni e compagne di varcare le soglie dei cancelli di fabbriche ed aziende.
D’altra parte l’esperienza dello sciopero sociale ha fatto emergere il problema della irappresentabilità di alcuni settori del mondo del lavoro nella struttura del sindacato categoriale.
Lungi dall’esaltazione o dalla demonizzazione di un modello piuttosto che dell’altro, riteniamo che il quadro attuale sia, con le dovute differenze, molto simile a quello che investiva il mondo del lavoro a cavallo del XIX e del XX secolo: le realtà politiche e sindacali realmente conflittuali ancora presenti sono sfilacciate sui territori e dotate di poco coordinamento nei livelli intermedi.
E’ per questo che riteniamo che l’istituzione di Camere del Lavoro sia un viatico che possa permettere l’unità delle lotte da parte di lavoratrici e lavoratori, a partire dal livello locale: l’affiancare servizi fiscali quali quelli offerti da un caf, all’assistenza legale, ad associazioni para-sindacali o sindacali del tutto ci sembra la chiave per offrire una copertura a tutto tondo a chi è impegnato nella difesa del proprio posto di lavoro.
Occorre ovviamente che in tali strutture compagni e compagne del nostro partito siano attivi e militanti e che esercitino un ruolo di unione delle vertenze, sull’esempio di esperienze quali quelle di Livorno e di Napoli.

            Riteniamo pericoloso ogni scivolamento che porti ad una “categorializzazione” dei lavoratrici e lavoratori, spesso preludio ad una divisione degli stessi: riteniamo lavoratori e lavoratrici tutte e tutte, tanto disoccupati e disoccupate, quanto precari e precarie, sino ovviamente a lavoratori e lavoratrici dotate di contratti più o meno stabili.
La divisione è il dispositivo di cui si serve la classe padronale per separare lavoratrici e lavoratori dalle esigenze assai simili, inserendo loro in compartimenti stagni poco comunicabili.
A tal proposito in Puglia abbiamo assistito, durante il passato decennio che ha visto il centrosinistra al governo, ad iniziative “volte a contenere la disoccupazione giovanile” quali “Bollenti spiriti” e “Ritorno al futuro”.
Oltre a non aver ottenuto tale effetto, tali bandi, sostanzialmente volti a garantire uno start up a nuovi modelli di impresa, hanno reso egemonico il fatto che gli unici lavori degni di finanziamento e di attenzione tanto da parte dei futuri lavoratori e lavoratrici quanto da settori sempre più ampi della politica siano quelli che affiancano il fattore creatività a quello della novità.
Ciò determina una squalificazione, agli occhi dei e delle giovani, dei lavori legati a settori di forte rilevanza locale quali quelli legati al primo e al secondo settore, avvertiti nel senso comune come lavori “inferiori”, poco remunerativi e scarsamente gratificanti.

            Riteniamo inoltre che il ragionamento portato avanti dai teorici e dai difensori del reddito di cittadinanza e di esistenza, rischia, come dimostrano anche esperienze storiche quali quelle del pacchetto di riforme Hartz IV promosso dal governo Scrhoeder nei primi anni 2000, di essere controproducente per le lotte dei lavoratori.
In quel caso il reddito è stato infatti affiancato dai cosiddetti mini–jobs e midi–jobs, lavori part-time privi di regolamentazione a favore dei lavoratori. La “garanzia” di un reddito minimo mensile percepito non ha avuto l’effetto sperato di essere una stampella per le lotte dei sindacati, bensì ha offerto il fianco ad una maggiore precarizzazione del lavoro e all’offerta di salari inferiori da parte delle aziende.
Tale modello è quello su cui i giuslavoristi vicini al governo vogliono lavorare, onde introdurlo nell’agone politico, incalzando le proposte di instaurazione di un reddito minimo promosse dalla sinistra radicale e da ultimo dal Movimento 5 Stelle.

            Volano per le lotte potrà invece tornare ad essere invece la linea politica, dal nostro partito sostenuta in passato, della riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario: la disoccupazione in questo modello di gestione della società è ormai un dato strutturale e funzionale alla guerra tra poveri, nonché a nuovi contratti in cui diritti garantiti e salari percepiti risultano essere sempre più bassi.
Oggi giorno inoltre lavoratrici e lavoratori passano presso il proprio posto di lavoro quasi sempre più delle 8 ore di lavoro giornaliere “classiche”.
Registriamo invece, accanto a questo dato, una crescita cospicua dei profitti delle aziende, che necessitano essere distribuiti in maniera più equa tra le lavoratrici e i lavoratori che impiegano se stessi nella produzione di tali ricchezze.
Alla riduzione dell’orario di lavoro potrà accompagnarsi una liberazione di tempi ed energie che non solo potranno rendere migliore il livello di vita degli uomini e delle donne, ma anche permettere loro di poter mettere il proprio tempo di vita liberato a disposizione delle altre e degli altri, impegnandosi politicamente.

            “Lavorare meno e lavorare tutti” deve tornare ad essere lo slogan di un partito e di una giovanile che vogliano essere pronte ad intervenire, oseremmo dire “senza tregua”, nei conflitti capitale – lavoro in corso nel nostro paese.

Tornare a non aver paura di chiamare padrone colui che opprime lavoratori e lavoratrici, a non aver paura di dire la nostra in ogni contesto lavorativo, usufruendo di strumenti vecchi e nuovi per sostenere le lotte e le vertenze, strada per strada, fabbrica per fabbrica.

venerdì 3 aprile 2015

Cesaria (Prc Puglia) - Elezioni regionali 2015: Emiliano si è superato

In riferimento alle dichiarazione del segretario regionale del PD Emiliano, Rifondazione Comunista Puglia ribadisce quanto segue:

Questa volta Emiliano si supera: dalla estrema destra alla sinistra tutto fa brodo, ieri l'accordo con l'UdC dell'ex senatore MSI Curto, oggi con il Partito Comunista d'Italia (ex Comunisti Italiani). Non soddisfatto propone l'accordo a Rifondazione Comunista e all'Altra Puglia. “Fatevi eleggere e poi continuate pure a fare opposizione” dichiara il Presidente in pectore. I programmi, le alleanze i riferimenti culturali, tutto finto, non servono, siamo alla politica 2.0. Facciamo una coalizione ma poi governiamo con l'altra. Sappia Emiliano (ma già lo sa, è solo un furbetto) che se una lista, che superasse lo sbarramento, passasse all'opposizione, i voti per fare maggioranza bisognerebbe trovarli dall'altra parte. Ma i renziani sono abituati: non hanno fatto così alle ultime politiche? Coalizione con Sel e poi governo con Forza Italia. I compagni di Sinistra Ecologia e Libertà forse dovrebbero rifletterci un po' di più: sbagliare è umano, perseverare è diabolico.

venerdì 27 febbraio 2015

Cesaria (Prc Puglia) - La legge elettorale regionale è indecente.

La legge elettorale approvata ieri dal Consiglio regionale con il voto favorevole dei due maggiori partiti Pd e FI è indecente, misogina e maschilista. Perfino la insufficiente proposta delle liste cosidette “50 e 50” tra i due sessi è stata bocciata, dimostando la totale arroganza di una classe politica che merita solo il disprezzo. Ma questa legge segnala che costoro sanno di essere destinati alla sconfitta e tremebondi fissano uno sbarramento al 8% che sperano possa consentirgli di non rispondere delle loro malefatte; nemmeno la famigerata legge elettorale fascista “Acerbo”, aveva avuto il coraggio di fare tanto. Se nel 1924 ci fosse stata questa legge L'on Matteotti non sarebbe stato assassinato perché non avrebbe potuto denunciare i brogli e le intimidazioni fasciste, semplicemente in quanto lo sbarramento lo avrebbe tenuto fuori dal parlamento, così come avrebbe tenuto fuori Gramsci, Giolitti e tutti i partiti democratici ad eccezione del partito popolare. Siamo all'abbandono della democrazia. Ci rivolgiamo a chi ritiene che la democrazia sia un bene non disponibile ai compromessi della politica, ci rivolgiamo ai compagni e alle compagne di Sel ma anche a tutti i democratici comunque collocati: la demolizione dello spirito Costituzionale da parte del PD impone che lo si abbandoni al suo destino:
Si costruisca immediatamente una diga anche elettorale che sappia contrapporsi alla deriva autoritaria. Non si svenda la Democrazia per squallidi calcoli di interessi elettorali; Si esca dalle ambiguità, non sia questa ignobile legge elettorale la cifra di quel sogno che è stato la “Primavera Pugliese”. Siamo ancora in tempo.

Nicola Cesaria, segretario regionale PRC Puglia