giovedì 31 marzo 2011

LA PUGLIA È TERRA DI ACCOGLIENZA, NON DI GUERRA

“L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli
e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali...”

LA PUGLIA È TERRA DI ACCOGLIENZA, NON DI GUERRA

Un'altra guerra è stata scatenata, questa volta contro la Libia, con il pretesto dei motivi umanitari.
Persino una parte della stampa guerrafondaia e della pseudopposizione parlamentare cominciano a dubitare delle vere motivazioni:è una guerra per il controllo del petrolio, in cui Sarkozy si pone l’obiettivo di sostituire Berlusconi nel ruolo di paese con i migliori rapporti con la Libia.
L' ONU, sempre più subalterna agli interessi delle potenze occidentali e delle multinazionali, invece di giocare un ruolo di mediazione, ricorre nuovamente alle armi.
A pagarne le conseguenze sarà il popolo libico, come avvenuto per le popolazioni della ex Yugoslavia, dell'Irak, dell'Afghanistan.
Il Gioverno Italiano, dopo essersi compromesso e aver intrallazzato con il regime di Gheddafi, oggi rivendica un ruolo nelle operazioni militari contro la Libia.
La Puglia è investita in pieno da queste scelte scellerate, per la presenza di basi militari e installazioni NATO sul suo territorio: da Gioia del Colle partono ogni giorno i cacciabombardieri.
Questa situazione provoca, aggrava e fa precipitare il dramma dei migranti, che oggi sbarcano sulle nostre coste fuggendo dalla fame e dalla guerra.
Il Governo Berlusconi-Maroni pretende di gestire questa emergenza scaricandola sulle popolazioni locali e alimentando la guerra fra poveri e le pulsioni più razziste.
Anche in Puglia, l'apertura del lager di Manduria ne è l'ennesima riprova: un luogo di cui non è chiaro neppure lo status giuridico.
Rifondazione Comunista, con i pacifisti, le associazioni, gli uomini e le donne che non si considerano “arruolati” alla cultura della guerra e dei “respingimenti”, sostiene l'immediata cessazione dei bombardamenti e l'avvio di una seria azione diplomatica da parte della comunità internazionale, unica in grado favorire una transizione e risposte adeguate alle domande di democrazia e di liberazione dal regime che sorgono dal popolo libico.
Per questo saremo in tutte le piazze per manifestare:
contro i bombardamenti
per la chiusura delle basi NATO, a partire da quelle sul suolo pugliese
per la chiusura del lager di Manduria, dei CIE e di tutti i luoghi di detenzione dei migranti
per la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari.
IL PRC pugliese manifesterà
il 2 aprile a Gioia del Colle davanti alla base militare e a Manduria contro i campi di detenzione e per una diversa politica dell'immigrazione;
in tutte le iniziative organizzate dal movimento pacifista, antimperialista e antirazzista.

Bari, 31 marzo 2011

Rifondazione Comunista Puglia

giovedì 24 marzo 2011

LA GUERRA “UMANITARIA” E’ CONTRO I POPOLI E PER IL PETROLIO

LA GUERRA “UMANITARIA” E’ CONTRO I POPOLI E PER IL PETROLIO

APPELLO ALLA MOBILITAZIONE PER LA PACE CONTRO LA PARTECIPAZIONE DELL’ITALIA ALLA GUERRA

Una nuova odiosa sporca guerra per il petrolio è cominciata in questi giorni contro la Libia. L’Italia è ridotta ad una portaerei e in violazione dell’art.11 della Costituzione decide - per dirla con l’indimenticato don Tonino Bello- di diventare “un arco di guerra proteso minaccioso nel Mediterraneo”. Di nuovo il parlamento è ridotto ad una caserma, con una votazione bipartisan a favore della guerra, e con una grottesca ed ingloriosa corsa a scavalcare a destra il governo come la disponibilità espressa da Di Pietro anche per l’intervento militare di terra.
L’Italia è la linea del fronte e non da adesso. L’unica preoccupazione dei nostri governanti è stata sempre e solo quella di contenere e respingere i profughi e di mantenere salde le mani sul petrolio e il gas libico. In tutti questi anni le aspirazioni alla libertà di quel popolo sono state frustrate, ignorate e derise per fino dai baciamani nei confronti del capo di quel regime oppressivo.
Per lungo tempo e anche nelle ultime settimane l’Europa e la comunità internazionale sono state prima complici dei regimi corrotti del Magrheb e poi mute davanti alle rivolte arabe per la giustizia sociale e la libertà. Non una politica di cooperazione è stata avanzata, non una revisione degli accordi economici neoliberisti che hanno affamato quei popoli è stata presa. Di nuovo silenzio e complicità accompagnano la sanguinosa repressione delle masse arabe nello Yemen e nel Bahrein.
Tutto il mondo sa che invece in Libia si interviene con la devastante forza dei bombardamenti non per sostenere le legittime aspirazioni di quel popolo all’autodeterminazione e alla democrazia, ma per arrivare a spartirsi quel paese tra le multinazionali del petrolio.
Con un copione ormai logoro si ripropone tutta la retorica ipocrita dell’interventismo democratico e della guerra umanitaria. Di nuovo tornano a braccetto alimentandosi l’un l’altra i due attori della guerra di civiltà: l’occidente capitalista da un lato e il fondamentalismo religioso dall’altro. Si vuole cioè far girare al contrario l’orologio della storia. Ogni cruise lanciato su Tripoli è nuovo odio che i fondamentalisti mettono in cascina in tutto il mondo arabo. Perché nemici di multinazionali e fondamentalisti religiosi, sono i popoli e la loro volontà di autodeterminarsi costruendo esperienze democratiche non più prigioniere del pensiero unico del mercato. Tutto deve tornare alla guerra al terrore perché il cambiamento del mondo arabo chiede una via diversa di risoluzione della crisi economica da quella prospettata dalla Banca Mondiale e dal Fondo Monetario Internazionale.
Respingiamo per questo l’inaccettabile ricatto “o stai con Gheddafi o stai con i bombardieri della Nato”. Noi siamo contro la guerra sempre, senza se e senza ma , perché tutte le “guerre umanitarie” hanno dimostrato il loro fallimento degli obiettivi dichiarati – tutelare i civili e promuovere la democrazia – mentre si sono tutti realizzati gli obiettivi nascosti e denunciati dal movimento per la pace (mettere le mani sulle risorse energetiche, ingrassare con le spese militari e con la corsa agli armamenti le lobby al potere, sostenere regimi fantoccio falsamente democratici).
Rifondazione Comunista non si arruola alla guerra, sostiene la lotta dei popoli per la liberazione e al contempo si oppone con forza all’intervento militare occidentale e all’uso delle basi poste sul nostro territorio. Ogni tentennamento della sinistra e delle organizzazioni sindacali su questo aprirebbe la strada alla definitiva cancellazione dell’art.11 della Costituzione e rappresenterebbe una gravissima regressione culturale in grado di sdoganare la guerra come strumento possibile ed accettabile della politica. Guerra e umanità sono incompatibili. Un’altra strada è possibile a cominciare dalla protezione umanitaria per i profughi e da una conferenza internazionale sul Mediterraneo e da una mediazione politica/diplomatica che porti all’immediato cessate il fuoco e ad una riconciliazione della Libia dentro un quadro unitario e democratico.

volantino tratto dal seguente link:
http://new.rifondazione.it/materiali/2011/pdf/110321guerra.pdf

domenica 20 marzo 2011

Libia: Impregilo, Finmeccanica, Eni e non solo. Tutti gli interessi in gioco

Libia: Impregilo, Finmeccanica, Eni e non solo. Tutti gli interessi in gioco

Il Fatto quotidiano 20 marzo 2011


Con l'intervento militare contro il rais rischiano di restare congelati a lungo investimenti consistenti, grandi appalti, forniture di materie prime e maxi-commesse. Il governo italiano vuole partecipare a pieno titolo alla gestione del dopo-Gheddafi per non perdere denaro e opportunità
Non solo la finanza, con le quote libiche, e quindi i diritti di voto e i dividendi, che sono state già sterilizzate dall’Unione Europea. L’acuirsi della crisi, con l’escalation militare di queste ore, riporta in primo piano anche gli interessi delle imprese italiane in Libia. Si tratta di investimenti consistenti, grandi appalti, forniture di materie prime e maxi-commesse che rischiano di restare congelati a lungo. O anche di finire in altre mani. Con ripercussioni consistenti sui bilanci delle società e sull’economia italiana. Ecco perché il governo italiano ritiene prioritario per il Paese partecipare a pieno titolo alla gestione del dopo-Gheddafi. Fino a poche settimane fa, sull’asse Tripoli-Roma, in entrambi i sensi di marcia, hanno viaggiato infatti denaro e opportunità di sviluppo. E i legami economici sono andati bel oltre la vicinanza geografica.
La Libia si colloca al quinto posto nella graduatoria dei Paesi fornitori dell’Italia, con il 4,5 per cento sul totale delle nostre importazioni, mentre il nostro Paese rappresenta il primo esportatore, che ricopre circa il 17,5 per cento delle importazioni libiche, con un interscambio complessivo stimato nel 2010 di circa 12 miliardi di euro. La Libia risulta essere il primo fornitore di greggio e il terzo fornitore di gas per l’Italia. Il nostro è il terzo Paese investitore tra quelli europei (escludendo il petrolio) e il quinto a livello mondiale. L’importanza che il mercato libico riveste per il nostro Paese è dimostrata anche dalla presenza stabile in Libia di oltre 100 imprese italiane.
L’Eni - L’azienda del cane a sei zampe è il principale operatore internazionale nell’estrazione del petrolio e del gas nel paese nordafricano. A preoccupare c’è l’impatto diretto sul fatturato del gruppo e anche il timore generale del balzo del prezzo del petrolio, in particolare per l’attività di raffinazione. Sia gli esponenti libici che i vertici dell’Eni hanno comunque ribadito per ora una reciproca ‘amicizia’. Tripoli ha confermato tutti i contratti anche dopo l’inizio della guerra civile. Il gruppo guidato da Scaroni, per altro, paga al governo di Tripoli anche una tassa del 4 per cento sugli utili imposta alle compagnie petrolifere. Un onere che per la società italiana, che è in Libia dai tempi di Mattei e ha una presenza assicurata fino al 2045 grazie al rinnovo delle concessioni, ammonta a 280 milioni di euro l’anno. Ora il rischio è che l’intervento militare occidentale possa provocare una ritorsione di Gheddafi contro l’azienda occidentale più esposta nel suo Paese.
Unicredit – Sotto i riflettori, da mesi, c’è la partecipazione libica nella banca di Piazza Cordusio. Tra gli azionisti, infatti, ci sono la Central Bank of Libya (4,988%) e Libyan Investment Authority (2,594%). Sommando le due quote la componente libica è di gran lunga il primo azionista, oltre il 7,5%. Quota che, come tutte le altre detenute dai libici in società europee, è al momento congelata.
Finmeccanica – Lybian Investment Authority detiene anche una quota del 2,01 per cento in Finmeccanica. Grazie alla collegata Ansaldo Sts, la società guidata da Pierfrancesco Guarguaglini ha una buona presenza in Libia. Nel luglio del 2009, Finmeccanica e Libya Africa Investment Portfolio, il fondo di investimento posseduto da Lia, hanno costituito una joint venture paritetica per una cooperazione strategica nei settori dell’aerospazio, trasporti ed energia. Inoltre, Finmeccanica si è aggiudicata numerosi contratti in Libia attraverso le sue controllate, come Ansaldo Sts e Selex Sistemi Integrati. Nel campo elicotteristico, AgustaWestland ha messo in piedi un sistema industriale di manutenzione e assemblaggio tramite la Liatec. Si calcola che le commesse di Finmeccanica in Libia ammontino a circa 1 miliardo di euro nei settori dell’elicotteristica civile e ferroviario.
Impregilo – Altrettanto presente in Gran Jamahiria è Impregilo. E’ impegnata attraverso una società mista (Libco) partecipata dalla multinazionale italiana al 60% e al 40% da Libyan development investment. Impregilo ha in essere progetti nel settore costruzioni: la Conference hall di Tripoli; la realizzazione di tre poli universitari e la progettazione e realizzazione di lavori infrastrutturali e di opere di urbanizzazione nelle città di Tripoli e Misurata. Si tratta di ordini che si aggirano, complessivamente, attorno al miliardo di euro
Autostrada dell’amicizia - La maxi infrastruttura chiesta dal colonnello Gheddafi come riparazione per i danni subiti nel periodo coloniale. Con i suoi 1700 km che dovrebbero attraversare la Libia da Rass Ajdir a Imsaad, ovvero dal confine con l’Egitto a quello con la Tunisia, è la più imponente e impegnativa infrastruttura stradale mai realizzata da aziende italiane, con tempi di lavoro stimati fino a vent’anni e una spesa di 3 miliardi di dollari. Nel dicembre scorso, al termine di una gara affidata a una commissione italo-libica, il raggruppamento di imprese costituito da Anas (capofila) – Progetti Europa & Global- talsocotec si è aggiudicato la gara da 125,5 milioni di euro, bandita dall’ambasciata di Tripoli in Italia, per il servizio di ‘advisor’ per tutto il processo che condurrà alla costruzione dell’autostrada. Oggi, anche in questo caso, è tutto fermo.
Altre partecipazioni libiche – si può ormai definire ‘storica’ la presenza libica nella Juventus, di cui la Libyan arab foreign investment company detiene ancora una quota pari al 7,5%. Presenze minori, ma che avevano possibilità di forte crescita, risultano in Eni (meno dello 0,1%, ma con il consenso alla possibilità di salire fino al 5) e Telecom (con meno dello 0,01%). Lybian Post, con il 14,8%, è presente in Retelit, operatore di telecomunicazioni specializzato nella fornitura di servizi a banda larga a enti e aziende.
Altre imprese italiane - L’elenco delle imprese che fanno affari in Libia comprende anche Telecom e Alitalia, Edison e Grimaldi, Visa e Saipem.

LINK: http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/03/20/libia-impregilo-finmeccanica-eni-e-non-solo-tutti-gli-interessi-in-gioco/98970/

venerdì 18 marzo 2011

Gino Strada attacca l'accordo Vendola-don Verzè

Gino Strada attacca l'accordo Vendola-don Verzè

18 marzo 2011

BITRITTO – «Non conosco bene la situazione in Puglia, ma pensare che si faccia costruire un ospedale a don Verzé mi fa venire la nausea». Risponde così Gino Strada, fondatore di Emergency, alla richiesta di parlare delle sue impressioni sulla sanità pugliese. «Luigi Verzé è il volto dell’antisanità e rappresentante degli ospedali come macchine da soldi. Non capisco la necessità di dargli spazio».

GINO STRADA - Occhi cupi, sguardo fisso, lunghi silenzi dopo le risposte. Gino Strada dà l’idea di uno che, quando ti risponde, pensa a tutt’altro. Eppure ogni risposta è mirata, specifica, dettagliata. Allora forse ad essere altrove è solo un pezzo di sé, quello prestato alla sanità. «Vivo sempre lontano da qui», dice. Con Emergency, dal 1994, porta assistenza medico-chirurgica gratuita a tutte quelle persone che non hanno il diritto di essere curate, nelle terre mangiate dalla guerra, e in tutto il mondo. Imperativo categorico del gruppo è «ripudiare». Ripudiare la guerra, come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli. Come recita l’articolo 11 della Costituzione.

L’EVENTO – Gino Strada è stato ospite a Bitritto ieri sera, 17 marzo, in occasione del giro d’Italia di Emergency per parlare di pace, democrazia e diritti umani, cominciato il 2 marzo. Insieme a lui, c’erano anche Luciano Canfora e Maso Notarianni a discutere del manifesto di Emergency, «Il mondo che vogliamo». Un mondo che ripudia la violenza, il terrorismo e la guerra come strumento per risolvere le contese tra gli uomini e i popoli. Perché in nome delle alleanze internazionali, anche la classe politica italiana ha scelto la guerra con altri Paesi. E lo hanno fatto proprio tutti, da Berlusconi a D’Alema, fino a Prodi. Una politica che nel campo delle relazioni estere non brilla, secondo Strada. «Prima accogliamo Gheddafi con tende e donne, e poi dobbiamo attaccarlo?» si domanda mentre, in occasione dei centocinquanta anni, augura che «i prossimi 150 siano migliori dei primi». A vederlo e a sentirlo, sembra quasi che a Emergency spetti la guerra, e allo Stato la missione di pace.

Teresa Serripierro

Gino Strada attacca laccordo Vendola don Verzè ginostrada

venerdì 11 marzo 2011

Puglia, maestre pagate due euro e venti l'ora

San Vito dei Normanni, la protesta della Cgil: «False collaborazioni»
Puglia, maestre pagate due euro e venti l’ora

Liberazione 10 marzo 2011


Tutte laureate, con una consolidata esperienza di lavoro qualificata; alcune di loro anche di lungo corso e quindi “esperte” di precarietà. Tutte queste qualifiche, però, non gli hanno impedito di “strappare” un contratto di lavoro alla favolosa cifra di due euro e venti l’ora. Sì, due euro e venti centesimi l’ora. Non è un errore di trascrizione. E’ quanto è disposto a sborsare il comune di San Vito dei Normanni al gruppo delle venticinque insegnanti di sostegno distributite nelle varie scuole del paese. Il tutto confezionato con un grazioso “contratto di collaborazione”, rinnovabile di anno in anno previa rigorosa selezione a completamento di un serissimo bando pubblico. E dato che lo scandalo non si presenta mai da solo, questa volta a completare il “corredo” c’è anche la circostanza che sindaco e Giunta stanno pensando, solo “pensando”, per carità, di affidare il servizio ad un cooperativa. C’è davvero una cooperativa sociale disposta a pagare ai propri dipendenti meno di due euro e venti l’ora? Sembra di sì. E’ stato questo il motivo che ha spinto, alla fine, le venticinque
educatrici a dire “basta”. E a rivolgersi al sindacato.
Ovviamente, il “contorno” in questo caso riserva delle chicche di tutto rispetto: tipo, il periodo massimo di malattia, fissato in una settimana, superato il quale c’è il licenziamento in tronco; ferie e festività non pagate; rispetto rigoroso dell’orario di lavoro, quando nei contratti di collaborazione formalmente non è previsto.
Manca la ciliegina sulla torta? No, c’è anche questa: quando le insegnanti di sostegno sono andate al Comune di San Vito dei Normanni che, strano ma vero, si fregia ancora della qualifica di “distaccamento della pubblica amminsitrazione”, si sono sentitte rispondere che «ci sono cose più importanti a cui pensare».
Questa in breve la storia che viene dalla terra di Giuseppe Di Vittorio. Secondo i sindacati, Nidil Cgil in testa, i contratti di collaborazione non corrispondono all’effettivo lavoro subordinato che andava sottoscritto con un contratto di lavoro nazionale del settore di riferimento: la paga corrisposta è pari a 420 euro al mese per 40 ore settimanali di lavoro, «la peggiore di tutta la provincia», settore agricolo compreso, naturalmente. Secondo il sindacato si tratta di lavoratori subordinati a tutti gli effetti, trattati contrattualmente come collaboratori. Il sindacato ha dunque chiesto al Comune, per conto delle lavoratrici, la stabilizzazione e garanzie per il futuro. Rivendicazioni identiche al resto dei lavoratori impiegati per l’assistenza scolastica in tutta la provincia, spesso cadute nel vuoto. 
«Il paradosso è infatti – spiega Angelo Leo del Nidil – che quasi tutti i Comuni della provincia di Brindisi che utilizzano personale per l’integrazione scolastica dei bambini e ragazzi diversamente abili, sono assunti con contratti nazionali di lavoro in seguito a lotte e accordi sindacali stipulati con il coinvolgimento della Regione Puglia e della Provincia di Brindisi».
«I lavoratori hanno diritto al contratto nazionale di lavoro - aggiunge Leo - i bambini e i ragazzi hanno diritto ad andare a scuola, ai genitori dei bambini e ragazzi diversamente abili deve essere garantito il diritto della frequentazione scolastica dei propri figli così come viene assicurata a tutti». Solidarietà anche da parte delle famiglie dei ragazzi assistiti dalle insegnanti.

Fabio Sebastiani