mercoledì 9 ottobre 2013

M. Calisi: Sulla guerra in Siria

E’ sotto i nostri occhi quanto accade in Siria: la situazione rischia di diventare ogni giorno più esplosiva, il conflitto si inasprisce sempre di più e a pagarne le conseguenze sono quasi sempre i civili. La guerra dura ormai da due anni e, secondo diverse fonti, ONU compresa, ha già causato oltre centomila morti. Nata come una rivolta pacifica contro il governo di Bashar al-Assad nel 2011, è diventata una vera guerra civile che sta martoriando l’intero Paese. La crisi siriana da interna è divenuta internazionale e l’ingerenza delle potenze straniere e imperialiste sta contribuendo a rendere più cruento il conflitto, dando il via ad una serie di reazioni a catena difficili da gestire. Semplificando, possiamo parlare di una contrapposizione in due grandi blocchi con USA e Gran Bretagna opposti a Russia e Iran.

Se gli USA decidessero di attaccare, Russia e Iran potrebbero rispondere affianco al regime siriano, disposto a difendersi con ogni mezzo, anche con attacchi in suolo israeliano. Cina ed Europa a quel punto non potrebbero più stare a guardare, con i Paesi Arabi per la maggior parte schierati contro Assad e i gruppi islamici estremisti a fianco del regime, pronti a colpire i “nemici” anche fuori dal suolo siriano. La guerra siriana potrebbe diventare un conflitto globale, da cui anche l’Europa, Italia compresa, sarebbe investita.

E’ di oggi la notizia secondo cui il primo ministro inglese Cameron abbia portato a casa una pesante sconfitta. Il parlamento inglese, infatti, ha bocciato la mozione per un intervento in Siria.

In Italia ciò sarebbe possibile? Quanto le ragioni di Stato e quanto invece le ragioni politico-strategiche e soprattutto economiche influiscono sulle scelte che attua il nostro Paese? Esiste oggi, in virtù di questo governo di larghe intese, una distinzione netta tra destra e sinistra?

In Italia è presente il dibattito sulla presenza o meno delle forze armate italiane sulle missioni all'estero e da sempre c’è un divario tra coloro i quali sostengono il ritiro dalle operazioni belliche in corso e coloro i quali ritengono sia opportuno adempiere agli impegni presi in sede internazionale.

Negli ultimi vent’anni diciamo che è prevalso l’impegno da parte dell’Italia a partecipare il più possibile grazie ad un consenso bipartisan che ha sostenuto tutti, o quasi, i principali interventi militari. La discussione politica tra centro-destra e centro-sinistra riguardava più le modalità di attacco, l’impiego del numero di risorse umane, le regole da applicare, piuttosto che una netta decisione sul partecipare o meno. Un aspetto da non trascurare è quello che vede il nostro Paese tra i cinque maggiori fornitori europei di armi alle Forze Armate egiziane. Dal 2010 fino ai primi mesi del 2013 c’è stato un crescente aumento delle autorizzazioni ministeriali per la fornitura di armamenti che ha toccato il picco massimo con l’ex Governo Monti. Quello che l’Italia invia in Egitto è un vero e proprio arsenale bellico e per questo motivo potremmo anche essere considerati come un paese che fomenta i conflitti nel mondo.

Sarebbe il caso che chi risiede a capo di qualche Ministero non si limiti a rilasciare dichiarazioni pubbliche di circostanza, ma si faccia un piccolo esame di coscienza, perché non è escluso che tra le armi usate in questi giorni ce ne siano parecchie Made in Italy.

Nel 1997, con il voto contro l’operazione militare in Albania, Rifondazione Comunista ha dimostrato di essere fuori da queste dinamiche in linea con ciò che sancisce l’Articolo 11 della Costituzione Italiana e cioè che “L’Italia ripudia la guerra”. Essa non può essere la soluzione ai problemi politici internazionali, non si può pensare di imporre il proprio dominio radendo al suolo una nazione. In qualsiasi modo si concluda, da una guerra si esce sempre perdenti soprattutto in materia di vite umane.

Non si può pensare di vincere con la guerra laddove si perde con la politica.