lunedì 7 marzo 2011

Bari, quel non-luogo chiamato Cara

Visita al Centro di accoglienza per richiedenti asilo: per gli immigrati mesi di attesa e senso di incertezza
Bari, quel non-luogo chiamato Cara 

Liberazione 6 marzo 2011


Giovedì scorso una delegazione del Prc, guidata da Giovanni Russo Spena e accompagnata da chi scrive, ha fatto visita al Centro di Accoglienza per Richiedenti Asilo-Cara, situato presso il quartiere Palese di Bari. Al momento la struttura, che può contenere 1.400 posti, accoglie 1.331 persone per la maggior parte di provenienza tunisina e prevalentemente ha visto il transito di migranti di nazionalità nigeriana, somala, eritrea.
Anche per la presenza del Cara di Borgo Mezzanone (Fg) e del Cara-Cie di Restinco (Br), la Puglia si caratterizza come un luogo dall’elevato afflusso di immigrati, i quali considerano questa regione solo come un luogo di transito, di passaggio. Tuttavia queste strutture causano forzatamente la formazione di immigrati stanziali che sono costretti a rimanere in Puglia, in attesa del permesso di soggiorno che si fa attendere 3-4 mesi. Parallelamente, l’impegno delle istituzioni è oltremodo insufficiente a gestire e a garantire alloggi, limitando i provvedimenti a soluzioni tampone come gli alberghi diffusi.
Bari è un esempio emblematico del fenomeno di immigrati stanziali: somali, eritrei, etiopi erano costretti a dormire nei giardini di Piazza Umberto o nella stazione di Bari. Dopo mesi di questa situazione, alla fine del 2009, i migranti stanchi e disperati di vivere all’addiaccio hanno deciso di occupare l’ex Ferrhotel e l’ex Scuola Socrate di Bari, due edifici che da anni sono abbandonati al degrado e al disuso e che ora rappresentano due luoghi in cui è possibile assistere ad uno straordinario esempio di autorganizzazione ed autodeterminazione.
Bari è anche città che ospita la presenza di un Cie che negli ultimi anni è stato teatro di numerosi tentativi di “evasione” repressi duramente dalle forze dell’ordine.
Rifondazione Comunista ribadisce la necessità di chiudere questa struttura che rappresenta una vera e propria galera etnica e un luogo dove i diritti più elementari della dignità umana sono calpestati.
Tornando al Cara di Bari-Palese e ascoltando i vari rifugiati politici, il comune denominatore delle loro testimonianze è essenzialmente quello della percezione di un senso di incertezza che domina il futuro delle loro vite. I rifugiati tunisini hanno raccontato la fame e la disperazione durante il governo Ben Alì e il peggioramento delle loro vite dopo l’insurrezione popolare con un coprifuoco militare permanente in tutto il paese. Il dato più duro da rilevare sono i “Casi Dublino”: iracheni, iraniani, curdi che attendono da 11-12 mesi il riconoscimento di rifugiati politici per poter lasciare l’Italia. Una attesa che li sta consumando da dentro e che ha compromesso la loro salute mentale provata da mesi di incertezza, rendendo così necessaria per loro anche l’attivazione di assistenza e cura psichiatrica. 
E’ bene infatti comprendere il fatto che per coloro che arrivano in Italia, il nostro paese è nient’affato considerato come “Lamerica”, ma come un semplice punto di passaggio per raggiungere altri luoghi. I dati sono chiari: in Italia i rifugiati politici sono 50mila, in Germania 600mila. Quasi nessuno dei rifugiati del Cara ha infatti intenzione di rimanere in Italia, la maggior parte intende raggiungere i propri familiari nei paesi del nord Europa, Germania, Francia e Svezia in testa.
Le fasi concitate a cui stiamo assistendo, caratterizzate dall’allarmismo pressante del governo, rivela il presentimento che il razzismo politico che si mostra a questi rifugiati non sia altro che una pedina della campagna elettorale permanente che Berlusconi e la Lega Nord intendono attuare in Italia.
Questi professionisti della paura, insinuando mediaticamente il pericolo di invasioni neobarbariche, si ergono ipocritamente a tutori della salvaguardia della nazione italica. Trascurando completamente l’importanza di comprendere le ragioni che spingono uomini e donne ad abbandonare la propria casa, i propri familiari, la propria vita, per fuggire verso l’incertezza dell’ignoto per il futuro della propria esistenza.
A fronte del fatto che la nostra terra rappresenta un polo di approdo di migliaia di migranti, gli sforzi che la Regione Puglia e gli enti locali promuovono in merito sono assolutamente inadeguati e insufficienti.

Sabino De Razza*, Vito Leli**
*segretario provinciale Prc Bari
**portavoce Gc Bari

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