Cari compagi e compagne,
vi porgo il saluto dei Giovani Comunisti/e e colgo questa occasione per ringraziarvi senza formalismi e facile retorica per l'opportunità di confronto, all'interno di un contesto mediatico che tende a mettere in sordina quelle voci ancora capaci di immaginare un mondo diverso.
Perché questo mondo, così com'è immaginato da chi governa le nostre vite, è fatto di prevaricazioni e mercificazione, secondo i dettami del capitalismo nella sua più recente incarnazione neoliberista.
Sono, infatti, le scelte di natura economica figlie di questa impostazione a penetrare e distruggere il nostro tessuto sociale, sferrando un attacco mortale verso ogni diritto ed ogni bene comune e colpendo, ovviamente, i soggetti sociali più deboli.
In un sistema controllato dal libero mercato il mondo della formazione diventa uno dei terreni di caccia privilegiati: con i tagli all'istruzione pubblica, con i finanziamenti a quella privata, con l'ingresso dei privati nel sistema formativo pubblico è possibile assopire ogni forma di coscienza critica, trasformare i diritti in privilegi ed in fonte di guadagno per i soliti noti, inasprire le differenze di classe, creare masse di cittadini acquiescenti e di lavoratori asserviti, ricattabili e precari.
Questo percorso di distruzione della scuola e dell'università è stato contrastato dagli studenti per decenni, in un quadro di varie riforme strutturali, dalla Ruberti alla Zecchino-Berlinguer, dalla Moratti alla Gelmini-Tremonti, ma anche di provvedimenti più specifici, come il riconoscimento delle scuole paritarie da parte del governo D'alema, le erogazioni liberali di Bersani o il Ddl Aprea. Il filo rosso che lega le fasi di questo progetto e lo legittima è il famigerato Processo di Bologna, frutto di quell'Europa che annulla le differenze tra centrodestra e centrosinistra mettendo d'accordo tutti sotto la bandiera del libero mercato.
Noi Giovani Comunisti/e pensiamo che, al fine di fermare questa deriva e di innescare un meccanismo di discontinuità, sia necessario per gli studenti stare dall'altra parte della barricata e unirsi sotto un'altra bandiera, quella dei diritti e della trasformazione della società, assieme a tutti coloro i quali vivono sulla loro pelle le conseguenze terribili delle politiche del capitalismo, che nella sua fase di crisi sta mostrando un volto sempre più crudele.
Riteniamo ogni forma di incontro e di aggregazione tra studenti utile alla costruzione di una scuola e di un'università diverse, libere dalle logiche aziendalistiche della governance e, invece, regolate da forme di partecipazione democratica, svincolate dall'influenza dei grandi gruppi economici che ostacolano la ricerca pura e la formazione umanistica, attraversate dal valore della laicità e non sottoposte ad un'impostazione confessionale della didattica, accessibili a tutti perché gratuite.
Questa prospettiva di costruzione di un sistema formativo a misura di studente unisce le nostre organizzazioni, anche se nella nostra regione i rapporti tra noi si differenziano da provincia a provincia. A Taranto, all'Università di Foggia, nelle scuole di Brindisi c'è una collaborazione feconda e importante. A Bari non sono mancate le occasioni di confronto, ma all'interno del movimento studentesco sono nati degli attriti profondi a causa delle differenti pratiche politiche, cosa che ci ha portati a preferire forme di aggregazione orizzontali e non verticistiche che rivendichiamo.
Abbiamo apprezzato moltissimo e condiviso il testo che accompagnava l'invito a questo Congresso e riteniamo che l'aspirazione di una rete di movimento all'autonomia dai partiti politici sia positiva, proprio per questo le vostre parole ci interrogano e vorremmo confrontarci con voi su questi temi, giacché la costruzione dell'autonomia nasce dal confronto alla pari, dal riconoscersi reciprocamente come interlocutori.
Da un lato l'impermeabilità delle istituzioni nei confronti delle istanze sociali, dall'altro la passivizzazione di larghe fasce della società, ipnotizzate dalla delega nei confronti di leader di varia natura e da un senso di indignazione che non si traduce in mobilitazione, rappresentano un mix devastante che non permette di praticare un cambiamento reale. Questo ci sembra vero non solo a livello nazionale, con effetti palesi, ma anche nella nostra regione, quella Puglia Migliore che incanta solo chi la guarda da lontano, che non è capace di arrestare lo smantellamento del welfare ed in particolare del sistema sanitario, di offrire un modello alternativo di accoglienza dei migranti, di contrastare in maniera radicale gli effetti della crisi sui lavoratori, di ripubblicizzare l'Acquedotto Pugliese, di garantire il diritto allo studio agli studenti universitari. Non crediamo che questo avvenga per una mancanza di volontà politica, sebbene siano evidenti le pressioni di quella parte di centrosinistra che ha scelto la strada del neoliberismo, ma semplicemente perché pensiamo che il vero cambiamento avvenga dal basso, che non esistano i Messia pronti a salvarci per illuminazione divina, ma che ci debba essere uno scambio costante tra chi sta in alto e chi rivendica i propri diritti.Troppo spesso le mobilitazioni nazionali che si svolgono in maniera decentrata nelle varie città d'Italia vedono una partecipazione di massa ovunque tranne che a Bari, e questo ci preoccupa moltissimo, nel nostro doppio ruolo di compagni che partecipano al movimento e di iscritti ad un partito politico.
Dieci anni fa a Genova, praticando un tentativo di cambiamento di società dal basso, abbiamo preso familiarità con un concetto terribile, che in quel momento si è concretizzato in schieramenti di caschi e manganelli: il concetto di “zona rossa”. Nel 2011 continuano a circondarci tante zone rosse impalpabili, ma enormi e apparentemente invalicabili, le zone rosse che ci tengono lontani dai nostri diritti. Una zona rossa ci separa dalla verità e dalla giustizia per Carlo Giuliani, che a causa di una zona rossa è stato assassinato barbaramente. Quest'oggi siamo costretti a piangere un altro morto, Vittorio Arrigoni, che ha combattuto strenuamente contro una zona rossa alta quanto i muri della vergogna, fisici e mediatici, innalzati da Israele. Una zona rossa fatta di ricatti, che per noi giovani ha il nome di precarietà, ci separa dalla prospettiva di un futuro dignitoso. Questa zona rossa è stata intaccata dai tanti operai della Fiat che hanno saputo dire no, rivendicando con orgoglio quella dignità che i padroni vogliono negare. Possiamo avere una prospettiva, compagni e compagne, solo rendendoci conto dell'esistenza di tutte le zone rosse intangibili che ci dividono da ciò che ci appartiene e che è tenuto in ostaggio da chi, come dite voi, ha rapito il nostro futuro. Noi sappiamo da che parte stare, dalla parte di chi vuole cambiare il mondo e non dalla parte dei “rapitori”. Ci stiamo da comunisti, perché riteniamo che per tanti l'abiura del passato rappresenti in realtà un'abiura di un futuro di rivoluzione e trasformazione.
Bari, 16 aprile 2011
Silvia Conca, portavoce provinciale Giovani Comunisti Bari
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