di Roberto Della Seta, Francesco Ferrante, Senatori Pd
Il Manifesto 8 aprile 2001
«L'Italia ha il 20% di disoccupazione e almeno 100.000 extracomunitari disoccupati che diventeranno il doppio dopo il crollo ampiamente previsto del mercato immobiliare. Dove li mettiamo? Li ospiterà D'Alema sul suo Ikarus o faranno compagnia ai nostri 'ultimi', pensionati e disoccupati delle periferie?... Un'invasione, perché di questo si tratta... La destabilizzazione degli Stati è avvenuta da sempre anche grazie al fattore immigrazione...». A parlare così non è Borghezio ma Beppe Grillo, in un intervento postato sul suo blog il 29 marzo scorso. Toni e contenuti della requisitoria di Grillo contro quello che lui stesso chiama il tabù buonista dell'immigrazione fanno impressione: per la totale irrazionalità delle argomentazioni - l'Italia «invasa» è uno dei paesi europei con meno immigrati, l'idea che gli stranieri «rubino» il lavoro agli italiani è una bufala -, per l'affermazione presa di peso dalla retorica nemmeno leghista, ma lepenista, che l'immigrazione rischia di sgretolare l'Europa. Fanno impressione le parole di Grillo, ma non sorprendono più di tanto. Da quando il comico genovese si è reinventato predicatore anti-sistema, il suo linguaggio ha sempre indossato i panni del populismo di destra. Nella sinistra radicale Grillo gode di un pregiudizio favorevole, quasi di un'immunità culturale: perché la sua forza polemica rappresenta un'arma efficace sia contro il berlusconismo sia nei confronti dei vizi e delle degenerazioni della «casta» politica di destra come di sinistra. E Grillo gode di popolarità larga anche in un vasto mondo di cittadinanza attiva dal basso obiettivamente più vicino alla sinistra che alla destra - dai comitati per l'acqua pubblica ai gruppi locali che si battono contro inceneritori e altri impianti considerati dannosi - che ha trovato in lui un paladino brillante e mediaticamente incisivo e che è la base su cui è nato e cresciuto il fenomeno dei «grillini». Questo spiega, tra l'altro, i successi elettorali ottenuti dal movimento Cinque Stelle, che a Grillo direttamente si ispira, in elezioni locali anche importanti, successi che hanno sottratto voti soprattutto ai partiti di sinistra. Ma questo non cambia un'evidenza di fondo: Beppe Grillo esprime un pensiero squisitamente reazionario, la sua figura politica ne fa un emulo più di Giannini o di Poujade, gli inventori europei del qualunquismo, che non l'interprete, sia pure estremo, di una posizione progressista. Insomma quando invoca la fine dei partiti (non di questi partiti...), quando in un incontro alla Camera dà delle puttane alle parlamentari presenti, quando se la prende con lo Stato imbelle che non ferma l'orda barbara degli immigrati, Grillo fa il suo mestiere: mette la sua tecnica, la sua «arte» di geniale polemista al servizio di perorazioni che molto spesso partono da denunce sacrosante ma quasi sempre rivelano una mentalità un po' fascista. Niente di drammatico. Però sarebbe bello se altri, che fascisti non sono, e che danno ancora importanza alle idee che stanno dietro le parole, smettessero di fargli da corifei.
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