Di seguito il testo del documento con cui Giovani comunisti e Fgci hanno concluso ieri a Frassanito il loro terzo campeggio nazionale unitario.
Il contesto nel quale svolgiamo questa assemblea non è ordinario. Una delle più pesanti manovre finanziarie degli ultimi vent’anni si è aggiunta alla penultima di analoga gravità, varata non più tardi di un mese fa. Il nostro Paese, dunque, non fa eccezione e subisce e a sua volta alimenta – da perfetto ingranaggio del capitalismo occidentale – i caratteri di una crisi con pochissimi precedenti nella storia contemporanea.
L’esplosione dei mercati finanziari è l’altra faccia della medaglia della depressione economica di un sistema sempre più incapace di sopravvivere a se stesso.
In Italia il governo delle destre ha scelto di essere parte integrante di questa ulteriore compressione dei diritti e di questo ulteriore impoverimento di larghe masse di lavoratori.
A ciò si possono dare due risposte. Da una parte si può percorrere la strada della concertazione, delle compatibilità con il sistema monetario europeo, facendosi assorbire nello stesso blocco sociale costituito in questi mesi dall’alleanza tra le destre, Confindustria, i sindacati gialli, e settori moderati delle opposizioni. Dentro questa scelta si può persino, come dimostrano alcune prese di posizione interne al Partito democratico, avanzare critiche alla manovra economica del governo, ipotizzare un governo diverso da quello di Berlusconi (di larghe intese, di transizione, di rinnovamento costituzionale). Ma dentro questa scelta si interrompe qualsiasi connessione politica e sentimentale con le necessità delle classi lavoratrici italiane.
La seconda risposta che si può dare è antitetica: investire duramente sul conflitto sociale, acuire le contraddizioni di un sistema di potere putrescente, lavorare con tutte le proprie forze per costruire un’alleanza sociale e politica la più vasta ed estesa possibile che imponga, con le lotte e con un programma di fase coerente e organico, le condizioni per l’alternativa.
Il movimento studentesco quest’autunno dovrà vivere in funzione di questa necessità.
Al contrario che negli anni passati, nei quali la grande parte delle nostre energie erano finalizzate alla contestazione dei provvedimenti legislativi in materia di istruzione, quest’anno il movimento può e deve liberare le sue energie dentro il mare del conflitto sociale e politico che, in Italia, tenterà di contrastare la crisi, l’azione del governo e l’offensiva senza freni di Confindustria.
Agitando i temi classici del diritto allo studio e ai saperi, ad una didattica critica e di qualità, di un’idea di formazione pubblica, laica, gratuita e di massa, dalla scuola dell’obbligo alla ricerca universitaria.
E al contempo, ed è questa la sfida più importante, contribuendo a definire le parole d’ordine del movimento dentro le scadenze che già sono in campo (dallo sciopero generale del 6 settembre convocato con grande tempismo dalla Cgil, al percorso che sarà individuato dalla riunione convocata dalla Fiom il 30 agosto, alla mobilitazione internazionale del 15 ottobre) e quelle che ci saranno.
Il contributo programmatico che l’assemblea di Alternativa Ribelle propone è il seguente:
- lotta per un piano straordinario per l’occupazione e contro il lavoro nero, per il recupero reale dell’evasione fiscale e per la definizione di un sistema di tassazione equo e progressivo (introduzione della patrimoniale, aumento della tassazione delle rendite e delle transazioni finanziarie);
- lotta per la reintroduzione di un meccanismo automatico di adeguamento dei salari e degli stipendi all’inflazione reale, per il recupero del potere d’acquisto dei lavoratori e delle loro famiglie;
- lotta per un salario sociale garantito di 1000 euro al mese per i disoccupati, per i giovani in cerca della prima occupazione e (a carico delle imprese) per tutti i lavoratori precari, indipendentemente dalla mansione e dalla tipologia di contratto, con caratteristiche progressive e redistributive;
- lotta per la pace e contro le vecchie e nuove aggressioni imperialistiche e coloniali, sostenuta dalla proposta radicale dell’abolizione delle spese militari, dell’annullamento di tutti i programmi militari e della chiusura delle basi Nato e statunitensi situate nel nostro territorio nazionale.
Allo stesso tempo, lavoreremo affinché il movimento studentesco – il cui collegamento organico con le lotte dei lavoratori e, in senso lato, con il conflitto sociale assume come detto un rilievo strategico – intrecci e attraversi le altre forme di conflitto e di mobilitazione che si determineranno.
La questione determinante, oggi, è porre l’obiettivo di costruire un’ampia convergenza di tutte le soggettività dell’alternativa e di unire, con una piattaforma politica, le diverse forze della sinistra ad oggi deboli e divise.
Corrispondendo, anche in questo, all’urgenza di cambiamento e rinnovamento che è l’altra faccia della questione giovanile in un Paese sempre più vecchio e incancrenito in tutti gli ambiti della vita quotidiana.
mercoledì 31 agosto 2011
venerdì 12 agosto 2011
IO STO' CON I MIGRANTI
IO STO' CON I MIGRANTI
In mare, ai porti, nelle campagne, nei centri di detenzione, nelle città: quella che è in atto è una vera e propria guerra contro i migranti.
Lo sciopero dei braccianti di Nardò, lo sfruttamento nelle campagne del foggiano e nel fotovoltaico, gli sbarchi sulle coste salentine, i respingimenti dai porti pugliesi verso la Grecia, il mancato soccorso in mare, i morti nel mar Mediterraneo, le deportazioni da Lampedusa, la tendopoli di Manduria, gli altri non luoghi di sospensione del diritto, i tempi di permanenza nei CARA e le difficili condizioni di vita all'interno, le problematiche connesse alla "Convenzione Dublino", la negazione del diritto d´asilo, il prolungamento del tempo di detenzione nei CIE, la costruzione di mega strutture lesive di ogni diritto e della dignità umana come quella di Mineo, l'inesistenza di politiche per un'accoglienza "diffusa" e della "seconda accoglienza", l'assenza di politiche sociali ed abitative, l'estrema precarietà in un periodo di forte crisi economica, la clandestinizzazione connessa alla perdita del contratto di lavoro, il nuovo "accordo d'integrazione", il razzismo istituzionale, etc. Tutto ciò evidenzia ancora una volta la mancanza di una politica dell´immigrazione che continua invece ad essere trattata dal governo, dalle amministrazioni locali e dalla classe politica come fosse un´emergenza oppure una questione di ordine pubblico.
A partire dalle singole vertenze che sono già in atto ed alle quali va tutto il nostro appoggio, la rete antirazzista di Bari ritiene necessaria e non più rinviabile una riflessione complessiva, per la costruzione di una piattaforma politica che parta dalla denuncia dell´esistente, per rivendicare diritti per tutte e tutti a partire dalle rivendicazioni delle lotte in corso.
Queste le difficili condizioni che si trovano a vivere i migranti e che hanno aperto il ciclo di lotte e rivolte che sta attraversando l´Italia, nei CIE, nei CARA, a Mineo, a Crotone, a Bari, a Nardò.
Per questo la rete antirazzista barese convoca un'assemblea il 2 settembre a Bari,presso la sede della Associazione Puglia Bangladesh, via Sagarriga Visconti, n.192, alle ore 17.30, anche in preparazione di una manifestazione meridionale nella prima metà di settembre.
Rete Antirazzista di Bari
giovedì 11 agosto 2011
Gianluca Nigro - Ma i caporali a Nardò girano indisturbati
Gianluca Nigro, operatore sociale associazione Finisterrae
Ma i caporali a Nardò girano indisturbati
Intervista di Checchino Antonini
Liberazione 11 agosto 2011
«Abbiamo ottenuto poco dall’incontro. Un impegno delle organizzazioni che rappresentano le aziende per coinvolgere le aziende di Nardò ad andare al centro per l’impiego per ingaggiare direttamente i lavoratori. Per noi la soluzione rimane nel chiedere subito un provvedimento legislativo d’urgenza contro il caporalato, perchè secondo noi questa è la questione centrale». Il blog degli scioperanti di Nardò ridimensiona le letture entusiastiche del verbale firmato a Bari 24 ore prima da confederali e Regione. «L’atmosfera a Nardò è abbastanza tesa - spiega a Liberazione, Gianluca Nigro, 41 anni, operatore sociale brindisino, dell’associazione Finisterrae presente alla masseria Boncuri assieme alle Brigate di solidarietà attiva - dopo una settimana di sciopero da parte di 400 braccianti ora qualcuno è stato costretto a tornare al lavoro perché da straniero se non lavori non mangi. E’ per questo che abbiamo lanciato una cassa di resistenza (vedi finisterraeonlus.it o il blog delle brigate ).
La situazione è complessa: alcuni caporali hanno abbassato i prezzi dei cassoni a 2 euro e mezzo, anziché 3,5; alcuni li hanno alzati a 6 euro (un cassone contiene 3 quintali di pomodori, un migrante ne riempie 6/7 al giorno). Quelle che sono emerse sono le contraddizioni reali della legislazione: il caporalato non è reato, l’intermediazione abusiva tra domanda e offerta di lavoro prevede tutt’al più un’ammenda. Si sta cercando di capire la possibilità di un filone di indagine sull’ipotesi di riduzione in schiavitù ma l’Italia non ha recepito la direttiva Ue 52/2009 sulle misure efficaci di contrasto al lavoro irregolare che consentirebbe agli irregolari di denunciare i padroni e accedere a una forma di regolarizzazione non premiale».
Ma chi sono i caporali?
Gli italiani sono ormai marginali, sono ormai quasi tutti stranieri, figure essenziali alla riproduzione del sistema, seguono la transumanza del bracciantato perché questi lavoratori sono percepiti come stagionali nei luoghi di arrivo ma fanno i braccianti tutto l’anno, da Eboli a Pachino, da Foggia al Salento. I braccianti vivono lontano dai centri abitati e vengono loro sottratti, oltre a quote di paga, pezzi di salario sotto forma di pagamento di servizi primari (acqua, panini, trasporto). E’ una forma di sfruttamento criminale che fa leva sull’assoluto isolamento. Le statistiche ufficiali come il rapporto Inea 2010 dicono che in Calabria il 95% degli stranieri in agricoltura sono irregolari.
Ancora una volta il proibizionismo è funzionale alle mafie e alle tratte?
L’economia agricola del Mezzogiorno si fonda su questo meccanismo, la raccolta delle angurie a Nardò la fanno gli stranieri dal 1985. La Bossi-Fini, in questo quadro, s’è rivelata uno strumento di precarizzazione del lavoro che ha anticipato anche la legge Biagi. Quello che abbiamo sotto gli occhi è frutto del depotenziamento norme sul lavoro e del rafforzamento dell’impianto repressivo, come i vari paccchetti sicurezza, che producono lavoro nero.
Cosa produrrà l’accordo sulle listedi prenotazione al collocamento?
La proposta gira dall’anno scorso, ma se non c’è un vincolo per le aziende ha solo un profilo di sensibilizzazione. I 200mila braccianti stranieri del Sud e i 300mila manovali stranieri al Nord sono la platea per le due categorie che, con i contratti provinciali, stanno sperimentando lo smantellamento del contratto collettivo. E inizia a essere evidente un fenomeno di delocalizzazione interprovinciale: le aziende hanno sedi legali in province con contratti più convenienti. Le donne del brindisino, reclutate dai caporali, fanno 300 km per andare nei campi del barese. Questa vicenda spiega come né il sindacato né le sigle datoriali siano rappresentative. I lavoratori di Boncuri sono autorganizzati e le aziende di Nardò dichiarano di non essere iscritte alle associazioni di categoria.
Ma i caporali a Nardò girano indisturbati
Intervista di Checchino Antonini
Liberazione 11 agosto 2011
«Abbiamo ottenuto poco dall’incontro. Un impegno delle organizzazioni che rappresentano le aziende per coinvolgere le aziende di Nardò ad andare al centro per l’impiego per ingaggiare direttamente i lavoratori. Per noi la soluzione rimane nel chiedere subito un provvedimento legislativo d’urgenza contro il caporalato, perchè secondo noi questa è la questione centrale». Il blog degli scioperanti di Nardò ridimensiona le letture entusiastiche del verbale firmato a Bari 24 ore prima da confederali e Regione. «L’atmosfera a Nardò è abbastanza tesa - spiega a Liberazione, Gianluca Nigro, 41 anni, operatore sociale brindisino, dell’associazione Finisterrae presente alla masseria Boncuri assieme alle Brigate di solidarietà attiva - dopo una settimana di sciopero da parte di 400 braccianti ora qualcuno è stato costretto a tornare al lavoro perché da straniero se non lavori non mangi. E’ per questo che abbiamo lanciato una cassa di resistenza (vedi finisterraeonlus.it o il blog delle brigate ).
La situazione è complessa: alcuni caporali hanno abbassato i prezzi dei cassoni a 2 euro e mezzo, anziché 3,5; alcuni li hanno alzati a 6 euro (un cassone contiene 3 quintali di pomodori, un migrante ne riempie 6/7 al giorno). Quelle che sono emerse sono le contraddizioni reali della legislazione: il caporalato non è reato, l’intermediazione abusiva tra domanda e offerta di lavoro prevede tutt’al più un’ammenda. Si sta cercando di capire la possibilità di un filone di indagine sull’ipotesi di riduzione in schiavitù ma l’Italia non ha recepito la direttiva Ue 52/2009 sulle misure efficaci di contrasto al lavoro irregolare che consentirebbe agli irregolari di denunciare i padroni e accedere a una forma di regolarizzazione non premiale».
Ma chi sono i caporali?
Gli italiani sono ormai marginali, sono ormai quasi tutti stranieri, figure essenziali alla riproduzione del sistema, seguono la transumanza del bracciantato perché questi lavoratori sono percepiti come stagionali nei luoghi di arrivo ma fanno i braccianti tutto l’anno, da Eboli a Pachino, da Foggia al Salento. I braccianti vivono lontano dai centri abitati e vengono loro sottratti, oltre a quote di paga, pezzi di salario sotto forma di pagamento di servizi primari (acqua, panini, trasporto). E’ una forma di sfruttamento criminale che fa leva sull’assoluto isolamento. Le statistiche ufficiali come il rapporto Inea 2010 dicono che in Calabria il 95% degli stranieri in agricoltura sono irregolari.
Ancora una volta il proibizionismo è funzionale alle mafie e alle tratte?
L’economia agricola del Mezzogiorno si fonda su questo meccanismo, la raccolta delle angurie a Nardò la fanno gli stranieri dal 1985. La Bossi-Fini, in questo quadro, s’è rivelata uno strumento di precarizzazione del lavoro che ha anticipato anche la legge Biagi. Quello che abbiamo sotto gli occhi è frutto del depotenziamento norme sul lavoro e del rafforzamento dell’impianto repressivo, come i vari paccchetti sicurezza, che producono lavoro nero.
Cosa produrrà l’accordo sulle listedi prenotazione al collocamento?
La proposta gira dall’anno scorso, ma se non c’è un vincolo per le aziende ha solo un profilo di sensibilizzazione. I 200mila braccianti stranieri del Sud e i 300mila manovali stranieri al Nord sono la platea per le due categorie che, con i contratti provinciali, stanno sperimentando lo smantellamento del contratto collettivo. E inizia a essere evidente un fenomeno di delocalizzazione interprovinciale: le aziende hanno sedi legali in province con contratti più convenienti. Le donne del brindisino, reclutate dai caporali, fanno 300 km per andare nei campi del barese. Questa vicenda spiega come né il sindacato né le sigle datoriali siano rappresentative. I lavoratori di Boncuri sono autorganizzati e le aziende di Nardò dichiarano di non essere iscritte alle associazioni di categoria.
martedì 9 agosto 2011
I Giovani Comunisti a sostegno dei braccianti immigrati di Nardò
Sotto la sede della Regione, si è tenuto nel pomeriggio un presidio di un centinaio di braccianti immigrati provenienti da Nardò per chiedere un incontro con le istituzioni regionali. I lavoratori sono in sciopero da 8 giorni per protestare contro le condizioni di schiavitù a cui sono sottoposti dai caporali e dagli imprenditori agricoli con il silenzio delle istituzioni.
La delegazione di lavoratori, che si è seduta al tavolo con la Regione, ha chiesto di inasprire il reato di “caporalato” che al momento è soggetto ad una semplice sanzione amministrativa, tra l'altro irrisoria poiché la pena pecuniaria va dai 50 ai 500 euro, e pertanto è facilmente colmabile dai caporali, che sono in grado di speculare più di 100 mila euro a stagione di raccolta sulla pelle dei lavoratori. A questa piaga si aggiunge lo sfruttamento delle aziende che assumono in nero i braccianti con salari da fame (ogni lavoratore viene retribuito 3 euro, per un cassone di 4 quintali di pomodoro).
La richiesta dei lavoratori che la Regione Puglia si è mostrata favorevole a sostenere, è stata quella di istituire uno sportello unico, dove gli immigrati in cerca di lavoro possano iscriversi e dove le aziende possano rivolgersi per assumerli. Una misura tuttavia debole e blanda poiché non esiste una legge che possa obbligare le aziende a rivolgersi a questi tipo di sportelli del lavoro per chiedere disponibilità di manodopera.
Noi sosteniamo fermamente le lotte dei lavoratori migranti a difesa di diritti politici e sociali e auspichiamo che le istituzioni si impegnino nell'esportare il modello di autorganizzazione adottato presso la masseria Boncuri di Nardò in tutti i luoghi dove viene svolta l'attività di raccolta stagionale, e nell'immediato a Foggia.
Non affrontare strutturalmente il problema dello sfruttamento del lavoro bracciantile degli immigrati significa alimentare il sistema mafioso del caporalato e abbandonare alla disperazione quei lavoratori stranieri che giungono in Puglia per migliorare la propria condizione di vita, disposti anche a compiere quei lavori che gli italiani non intendono più svolgere.
Bari, 9 agosto 2011
Vito Leli e Titti D'Addabbo, coordinamento provinciale Giovani Comunisti Bari
La delegazione di lavoratori, che si è seduta al tavolo con la Regione, ha chiesto di inasprire il reato di “caporalato” che al momento è soggetto ad una semplice sanzione amministrativa, tra l'altro irrisoria poiché la pena pecuniaria va dai 50 ai 500 euro, e pertanto è facilmente colmabile dai caporali, che sono in grado di speculare più di 100 mila euro a stagione di raccolta sulla pelle dei lavoratori. A questa piaga si aggiunge lo sfruttamento delle aziende che assumono in nero i braccianti con salari da fame (ogni lavoratore viene retribuito 3 euro, per un cassone di 4 quintali di pomodoro).
La richiesta dei lavoratori che la Regione Puglia si è mostrata favorevole a sostenere, è stata quella di istituire uno sportello unico, dove gli immigrati in cerca di lavoro possano iscriversi e dove le aziende possano rivolgersi per assumerli. Una misura tuttavia debole e blanda poiché non esiste una legge che possa obbligare le aziende a rivolgersi a questi tipo di sportelli del lavoro per chiedere disponibilità di manodopera.
Noi sosteniamo fermamente le lotte dei lavoratori migranti a difesa di diritti politici e sociali e auspichiamo che le istituzioni si impegnino nell'esportare il modello di autorganizzazione adottato presso la masseria Boncuri di Nardò in tutti i luoghi dove viene svolta l'attività di raccolta stagionale, e nell'immediato a Foggia.
Non affrontare strutturalmente il problema dello sfruttamento del lavoro bracciantile degli immigrati significa alimentare il sistema mafioso del caporalato e abbandonare alla disperazione quei lavoratori stranieri che giungono in Puglia per migliorare la propria condizione di vita, disposti anche a compiere quei lavori che gli italiani non intendono più svolgere.
Bari, 9 agosto 2011
Vito Leli e Titti D'Addabbo, coordinamento provinciale Giovani Comunisti Bari
A proposito dei fondi pubblici per gli Asili Nido dirottati ai Privati
In questa cupa estate di crisi economica, che si pretende di fronteggiare colpendo ancora le fasce più deboli della popolazione e lasciando intatti i privilegi dei ricchi e dei potenti, ci tocca leggere pure questa (la Repubblica del 9 agosto, cronaca di Bari, pag V): L’assessore del Comune di Bari, Fabio Losito, a seguito di un incontro con le rappresentanze delle scuole private, si convince che ad esse debbano essere destinati tutti i fondi previsti dal piano sociale di zona; così, in una seduta di Giunta, alla quale peraltro l’assessore non risulta presente, viene stravolta la delibera di Consiglio che aveva ripartito la somma fra nidi pubblici e privati (cosa già discutibile) con una delibera di Giunta, la n. 458, che destina a “buoni per l’acquisto di servizi per l’infanzia presso strutture private” tutti i 409.893,54 euro a disposizione. Tale decisione pare sia maturata in un illuminante incontro con i rappresentanti delle scuole private.
Per quanto l’assessore rassicuri il cronista dicendo che “non è come sembra...” e che non si tratta di “un provvedimento teso ad avvantaggiare le scuole private rispetto a quelle pubbliche”, risulta davvero difficile pensare che impoverendo ulteriormente le strutture pubbliche migliorerà la loro “offerta formativa”, così come non è certo dirottando le famiglie verso gli istituti privati che si risponde al bisogno di avere un “posto” all’asilo. Certo la lobby delle scuole private ringrazia di questo ulteriore beneficio, che si aggiunge a quanto riceve generosamente un po’ da tutti i livelli istituzionali, in termini di risorse finanziarie e di veri e propri privilegi, come quello di potersi avvalere di personale a titolo gratuito e volontario.
Se poi l’idea sottintesa dovesse essere che il privato gestisce meglio il servizio, allora ci troveremmo di fronte a un pregiudizio negato dall’evidenza: basta farsi un giro nei nidi e nelle scuole pubbliche dell’infanzia per vedere con quanta professionalità vi si lavora, spesso in condizioni di povertà di strutture e di sussidi.
Ricordiamo al giovane assessore che qualche anno fa bastò una sola dichiarazione in tal senso dell’allora sindaco Di Cagno Abbrescia per generare una reazione civile ma determinata da parte delle famiglie e delle lavoratrici del settore che riuscì a scongiurare il pericolo di chiusura delle sezioni comunali di scuola dell’infanzia.
Non vorremmo che, complice il solleone, si faccia passare in sordina un provvedimento che colpisce direttamente un pezzo importante del welfare della nostra comunità, già duramente colpito dai provvedimenti governativi sugli enti locali. Sarebbe una ciliegina su una torta avvelenata e il fatto che a metterla sia un assessore “di sinistra” non la rende più dolce, anzi.
Facciamo appello al Sindaco Emiliano perché non si verifichi questa ingiustizia che suona come una beffa nei riguardi del sistema pubblico dei servizi all’infanzia, di chi ci lavora e di chi lo frequenta.
Bari, 9 agosto 2011
Tonia Guerra, insegnante
Segreteria PRC Puglia
Per quanto l’assessore rassicuri il cronista dicendo che “non è come sembra...” e che non si tratta di “un provvedimento teso ad avvantaggiare le scuole private rispetto a quelle pubbliche”, risulta davvero difficile pensare che impoverendo ulteriormente le strutture pubbliche migliorerà la loro “offerta formativa”, così come non è certo dirottando le famiglie verso gli istituti privati che si risponde al bisogno di avere un “posto” all’asilo. Certo la lobby delle scuole private ringrazia di questo ulteriore beneficio, che si aggiunge a quanto riceve generosamente un po’ da tutti i livelli istituzionali, in termini di risorse finanziarie e di veri e propri privilegi, come quello di potersi avvalere di personale a titolo gratuito e volontario.
Se poi l’idea sottintesa dovesse essere che il privato gestisce meglio il servizio, allora ci troveremmo di fronte a un pregiudizio negato dall’evidenza: basta farsi un giro nei nidi e nelle scuole pubbliche dell’infanzia per vedere con quanta professionalità vi si lavora, spesso in condizioni di povertà di strutture e di sussidi.
Ricordiamo al giovane assessore che qualche anno fa bastò una sola dichiarazione in tal senso dell’allora sindaco Di Cagno Abbrescia per generare una reazione civile ma determinata da parte delle famiglie e delle lavoratrici del settore che riuscì a scongiurare il pericolo di chiusura delle sezioni comunali di scuola dell’infanzia.
Non vorremmo che, complice il solleone, si faccia passare in sordina un provvedimento che colpisce direttamente un pezzo importante del welfare della nostra comunità, già duramente colpito dai provvedimenti governativi sugli enti locali. Sarebbe una ciliegina su una torta avvelenata e il fatto che a metterla sia un assessore “di sinistra” non la rende più dolce, anzi.
Facciamo appello al Sindaco Emiliano perché non si verifichi questa ingiustizia che suona come una beffa nei riguardi del sistema pubblico dei servizi all’infanzia, di chi ci lavora e di chi lo frequenta.
Bari, 9 agosto 2011
Tonia Guerra, insegnante
Segreteria PRC Puglia
Ubicazione:
Bari, Italia
lunedì 8 agosto 2011
Solidarietà ai Braccianti di Nardò
Lo scorso sabato la Rete Antirazzista di Bari ha portato solidarietà ai migranti in sciopero della masseria Boncuri di Nardò. Una solidarietà che riteniamo importante per sostenere il coraggio e la volontà dei migranti-braccianti di Nardò che hanno intrapreso la lotta contro lo sfruttamento e la riduzione in schiavitù della loro vita da parte di caporali e produttori agricoli del territorio pugliese che agiscono in un sistema privo di garanzie per migliaia di lavoratori immigrati. Un sistema che per i migranti è fatto solo di soprusi, di degrado, di violenze e umiliazioni, di lavoro mal pagato o non pagato affatto, di difficoltà burocratiche, di diritti negati, di condizioni inaccettabili di cui il nostro territorio ne è diventato l´emblema per il resto d´Europa. Ed era inevitabile che proprio da questo territorio nascesse la volontà di riscatto di anni di sfruttamento e riduzione in schiavitù.
I racconti e le denunce dei migranti di Nardò ci hanno riportato alla storia del movimento afroamericano nelle zone del sud America a cavallo degli anni `50 e ´60, un movimento contro una struttura economica segregazionista e una politica razzista e violenta. Entrambe mascherate da un sistema democratico basato su un razzismo inclusivo, ovvero sull´inclusione dell´Altro ma per relegarlo nel fondo di una piramide economica e sociale.
Qualche tempo fa subito dichiarammo che "Da Rosarno non si torna indietro", oggi possiamo dire che "Dal Sud rinasce il riscatto" perché da Rosarno a Castelvolturno, dalla Sicilia alla Calabria e fin qui in Puglia le strutture di sfruttamento e di assoggettamento a cui sono sottoposti i migranti sono uguali e da questi stessi luoghi i cosiddetti neoschiavi si stanno riconquistando i propri diritti in quanto persone. Per questo sosteniamo i lavoratori migranti che a proprie spese stanno cercando la liberazione da un sistema di schiavitù, insieme ai volontari, le associazioni, e la società civile che gli sono vicini.
Rete Antirazzista Bari
I racconti e le denunce dei migranti di Nardò ci hanno riportato alla storia del movimento afroamericano nelle zone del sud America a cavallo degli anni `50 e ´60, un movimento contro una struttura economica segregazionista e una politica razzista e violenta. Entrambe mascherate da un sistema democratico basato su un razzismo inclusivo, ovvero sull´inclusione dell´Altro ma per relegarlo nel fondo di una piramide economica e sociale.
Qualche tempo fa subito dichiarammo che "Da Rosarno non si torna indietro", oggi possiamo dire che "Dal Sud rinasce il riscatto" perché da Rosarno a Castelvolturno, dalla Sicilia alla Calabria e fin qui in Puglia le strutture di sfruttamento e di assoggettamento a cui sono sottoposti i migranti sono uguali e da questi stessi luoghi i cosiddetti neoschiavi si stanno riconquistando i propri diritti in quanto persone. Per questo sosteniamo i lavoratori migranti che a proprie spese stanno cercando la liberazione da un sistema di schiavitù, insieme ai volontari, le associazioni, e la società civile che gli sono vicini.
Rete Antirazzista Bari
mercoledì 3 agosto 2011
Assenza di risposte politiche dalle istituzioni
Assenza di risposte politiche dalle istituzioni.
Così si potrebbe sintetizzare il risultato dell´incontro di oggi in Prefettura presieduto dal sottosegretario all´Interno Mantovano. Non ci sarà la concessione del permesso umanitario per tutti, ma solo un pagliativo per "sedare gli animi", ovvero la creazione di una seconda Commissione per l´analisi individuale delle richieste di asilo politico. Dunque accorciare i tempi d´attesa ma moltiplicare i casi di diniego così come successo finora dato che non si tiene conto del fatto che i migranti provengono dalla Libia in guerra. Non si tiene conto del fatto che l´Italia contribuisce alla guerra in Libia con tutte le conseguenze che provoca sulla vita delle persone e di cui si deve far carico, non si tiene conto del fatto che la sorte della vita di ogni singolo rifugiato viene affidata al giudizio di una Commissione e non alla volontà politica di uno Stato che deve riconoscere il permesso di soggiorno a tutti coloro che fuggono dalla guerra. In Commissione sulla testa di ogni singola persona si giocheranno le conseguenze di una guerra internazionale.
I migranti hanno messo a repentaglio la propria vita con la rivolta di Bari, "O vita o morte" gridavano, hanno sollevato una questione politica di portata nazionale che non si può risolvere con la creazione di una commissione su Bari. E per gli altri migranti dei centri di Ponte Galeria, di Capo Rizzuto, di Mineo e di tutti gli altri centri cosa si fa? I migranti fuggiti dalla guerra, esasperati dalle attese, dai dinieghi, dalla militarizzazione della loro vita rinchiusa in un centro che non garantisce alcuna dignità, sono esplosi in rivolta per riappropriarsi del diritto alla vita, una vita distrutta dalla guerra. Perciò non possiamo accettare nemmeno la soluzione della "tolleranza zero" di Mantovano, ovvero arresti e privazione della libertà per coloro che hanno lottato per riconquistarla. Hanno lottato per tutti i migranti attirando finalmente l´attenzione della politica nazionale e locale, entrambe latitanti davanti alle morti nel Mediterraneo o davanti alle svariate manifestazioni che hanno preceduto la rivolta, davanti alle richieste che hanno portato in Regione, presso gli enti locali e a esponenti politici. Perciò rifiutiamo la criminalizzazione messa in atto con gli arresti di alcuni (28 fino ad oggi con altre che su cui stanno proseguendo le indagini) per terrorizzare gli altri. Una criminalizzazione della richiesta di diritti che fa corto circuito se tale richiesta proviene da persone già private dei loro diritti, già rinchiuse in centri militarizzati e che solo la loro rabbia ha portato a far "esprimere" almeno un´istituzione. Istituzione che non fa altro che proclamare uno stato d´emergenza dal 1991 e così gestisce le politiche migratorie da vent´anni.
Un´emergenza regolata con lo stato di detenzione nei centri che non fanno altro che sfornare clandestini da vent´anni. Clandestini utili all´economia poiché si trasformano in manovalanza a nero. E poiché questo è il sistema, ogni migrante viene trasformato in schiavo. Ma non a vita. E´ successo a Rosarno, oggi a Nardò che i braccianti agricoli immigrati e quindi schiavizzati si stanno riprendendo i propri diritti incrociando le braccia e intraprendendo uno sciopero fintato che non gli viene riconosciuta la giusta paga per il lavoro che fanno.
Un sistema che sta andando in tilt dunque, grazie alle lotte intraprese dai migranti e che movimenti, associazioni, sindacati e società civile stanno sostenendo, laddove non è più possibile tollerare i vuoti della politica insieme alla mal gestione. Quindi per continuare a comprendere come sostenere i processi in atto ci rivediamo domani alla Parrocchia San Sabino alle ore 20.00 in vista anche dell´incontro di sabato 6 agosto alle ore 16.00 a Nardò.
Rete Antirazzista Bari
Così si potrebbe sintetizzare il risultato dell´incontro di oggi in Prefettura presieduto dal sottosegretario all´Interno Mantovano. Non ci sarà la concessione del permesso umanitario per tutti, ma solo un pagliativo per "sedare gli animi", ovvero la creazione di una seconda Commissione per l´analisi individuale delle richieste di asilo politico. Dunque accorciare i tempi d´attesa ma moltiplicare i casi di diniego così come successo finora dato che non si tiene conto del fatto che i migranti provengono dalla Libia in guerra. Non si tiene conto del fatto che l´Italia contribuisce alla guerra in Libia con tutte le conseguenze che provoca sulla vita delle persone e di cui si deve far carico, non si tiene conto del fatto che la sorte della vita di ogni singolo rifugiato viene affidata al giudizio di una Commissione e non alla volontà politica di uno Stato che deve riconoscere il permesso di soggiorno a tutti coloro che fuggono dalla guerra. In Commissione sulla testa di ogni singola persona si giocheranno le conseguenze di una guerra internazionale.
I migranti hanno messo a repentaglio la propria vita con la rivolta di Bari, "O vita o morte" gridavano, hanno sollevato una questione politica di portata nazionale che non si può risolvere con la creazione di una commissione su Bari. E per gli altri migranti dei centri di Ponte Galeria, di Capo Rizzuto, di Mineo e di tutti gli altri centri cosa si fa? I migranti fuggiti dalla guerra, esasperati dalle attese, dai dinieghi, dalla militarizzazione della loro vita rinchiusa in un centro che non garantisce alcuna dignità, sono esplosi in rivolta per riappropriarsi del diritto alla vita, una vita distrutta dalla guerra. Perciò non possiamo accettare nemmeno la soluzione della "tolleranza zero" di Mantovano, ovvero arresti e privazione della libertà per coloro che hanno lottato per riconquistarla. Hanno lottato per tutti i migranti attirando finalmente l´attenzione della politica nazionale e locale, entrambe latitanti davanti alle morti nel Mediterraneo o davanti alle svariate manifestazioni che hanno preceduto la rivolta, davanti alle richieste che hanno portato in Regione, presso gli enti locali e a esponenti politici. Perciò rifiutiamo la criminalizzazione messa in atto con gli arresti di alcuni (28 fino ad oggi con altre che su cui stanno proseguendo le indagini) per terrorizzare gli altri. Una criminalizzazione della richiesta di diritti che fa corto circuito se tale richiesta proviene da persone già private dei loro diritti, già rinchiuse in centri militarizzati e che solo la loro rabbia ha portato a far "esprimere" almeno un´istituzione. Istituzione che non fa altro che proclamare uno stato d´emergenza dal 1991 e così gestisce le politiche migratorie da vent´anni.
Un´emergenza regolata con lo stato di detenzione nei centri che non fanno altro che sfornare clandestini da vent´anni. Clandestini utili all´economia poiché si trasformano in manovalanza a nero. E poiché questo è il sistema, ogni migrante viene trasformato in schiavo. Ma non a vita. E´ successo a Rosarno, oggi a Nardò che i braccianti agricoli immigrati e quindi schiavizzati si stanno riprendendo i propri diritti incrociando le braccia e intraprendendo uno sciopero fintato che non gli viene riconosciuta la giusta paga per il lavoro che fanno.
Un sistema che sta andando in tilt dunque, grazie alle lotte intraprese dai migranti e che movimenti, associazioni, sindacati e società civile stanno sostenendo, laddove non è più possibile tollerare i vuoti della politica insieme alla mal gestione. Quindi per continuare a comprendere come sostenere i processi in atto ci rivediamo domani alla Parrocchia San Sabino alle ore 20.00 in vista anche dell´incontro di sabato 6 agosto alle ore 16.00 a Nardò.
Rete Antirazzista Bari
martedì 2 agosto 2011
Angelo Cassano: La rivolta di Bari, come a Rosarno
Angelo Cassano
La rivolta di Bari, come a Rosarno
Un tappeto di detriti, di pietre, di candelotti di lacrimogeni è rimasto sull'asfalto della tangenziale di Bari, nelle campagne che circondano il Centro di «accoglienza» per richiedenti asilo e la linea ferroviaria. Da una parte agenti di PS, Carabinieri e Finanza in tenuta antisommossa e dall'altra l'esasperazione di un gruppo nutrito di migranti provenienti dalla Libia. Da mesi organizzano presidi invano. Hanno provato ad avere garanzie e risposte politiche da chiunque a incominciare dal Presidente della Regione, dalla Prefettura (Bari è l'unica città in Italia che da 6 mesi non ha il Prefetto). Le loro richieste sono rimaste inascoltate. Troppo impegnata la politica per occuparsi degli ultimi, dei migranti, di chi vive ai margini della città. E così una nuova manifestazione ha avuto una portata figlia della rabbia e della disperazione. Una rabbia naturale, dopo essere scappati da una guerra, dopo aver attraversato il Mediterraneo (magari guardando impotenti un tuo amico morire in mare), dopo essere stati trattenuti all'afa di una tendopoli, trasportati come pacchi e poi condannati a rifare tutto da capo tornando a quell'inizio da cui erano scappati. Ieri mattina all'alba i migranti hanno bloccato tutte le principali vie d'accesso da nord alla città, investendo con la loro disperazione tutti coloro che generalmente girano la testa dall'altra parte. La polizia non si è fatta scrupoli nel caricare i migranti, nell'arrestarne alcuni, nel far piovere su tutta la zona i terribili lacrimogeni al CS, noti ai più per essere gli stessi usati in Val di Susa.
Bari come Rosarno insomma, perché di questo parliamo. La caccia all'immigrato però questa volta l'ha compiuta lo Stato, lo Stato che per bocca del sottosegretario Mantovano dice che «la violenza è intollerabile», come se la condizione a cui i migranti sono costretti nel Cara e in generale in Italia fosse tollerabile. In questi giorni in Puglia i migranti di Nardò stanno scioperando contro la condizione di schiavitù in cui vivono nel silenzio dei più, la tendopoli di Manduria è destinata a cambiare luogo spostandosi in una base militare a S.Vito, quotidianamente arrivano notizie terribile sui Cie che hanno sede nella regione. Questa esplosione di rabbia viene da lontano. I migranti di Bari hanno preso in carico la propria sorte e si sono posti al centro del dibattito e della società pugliese. Questa giornata (curiosamente mentre si ricordano qui a Bari i venti anni dello sbarco della Vlora con 20.000 albanesi a bordo) non può rimanere un punto isolato. Non possiamo perdere questa occasione. Per noi, per loro, per la nostra terra.
http://www.ilmanifesto.it/archivi/fuoripagina/anno/2011/mese/08/articolo/5113/
La rivolta di Bari, come a Rosarno
Un tappeto di detriti, di pietre, di candelotti di lacrimogeni è rimasto sull'asfalto della tangenziale di Bari, nelle campagne che circondano il Centro di «accoglienza» per richiedenti asilo e la linea ferroviaria. Da una parte agenti di PS, Carabinieri e Finanza in tenuta antisommossa e dall'altra l'esasperazione di un gruppo nutrito di migranti provenienti dalla Libia. Da mesi organizzano presidi invano. Hanno provato ad avere garanzie e risposte politiche da chiunque a incominciare dal Presidente della Regione, dalla Prefettura (Bari è l'unica città in Italia che da 6 mesi non ha il Prefetto). Le loro richieste sono rimaste inascoltate. Troppo impegnata la politica per occuparsi degli ultimi, dei migranti, di chi vive ai margini della città. E così una nuova manifestazione ha avuto una portata figlia della rabbia e della disperazione. Una rabbia naturale, dopo essere scappati da una guerra, dopo aver attraversato il Mediterraneo (magari guardando impotenti un tuo amico morire in mare), dopo essere stati trattenuti all'afa di una tendopoli, trasportati come pacchi e poi condannati a rifare tutto da capo tornando a quell'inizio da cui erano scappati. Ieri mattina all'alba i migranti hanno bloccato tutte le principali vie d'accesso da nord alla città, investendo con la loro disperazione tutti coloro che generalmente girano la testa dall'altra parte. La polizia non si è fatta scrupoli nel caricare i migranti, nell'arrestarne alcuni, nel far piovere su tutta la zona i terribili lacrimogeni al CS, noti ai più per essere gli stessi usati in Val di Susa.
Bari come Rosarno insomma, perché di questo parliamo. La caccia all'immigrato però questa volta l'ha compiuta lo Stato, lo Stato che per bocca del sottosegretario Mantovano dice che «la violenza è intollerabile», come se la condizione a cui i migranti sono costretti nel Cara e in generale in Italia fosse tollerabile. In questi giorni in Puglia i migranti di Nardò stanno scioperando contro la condizione di schiavitù in cui vivono nel silenzio dei più, la tendopoli di Manduria è destinata a cambiare luogo spostandosi in una base militare a S.Vito, quotidianamente arrivano notizie terribile sui Cie che hanno sede nella regione. Questa esplosione di rabbia viene da lontano. I migranti di Bari hanno preso in carico la propria sorte e si sono posti al centro del dibattito e della società pugliese. Questa giornata (curiosamente mentre si ricordano qui a Bari i venti anni dello sbarco della Vlora con 20.000 albanesi a bordo) non può rimanere un punto isolato. Non possiamo perdere questa occasione. Per noi, per loro, per la nostra terra.
http://www.ilmanifesto.it/archivi/fuoripagina/anno/2011/mese/08/articolo/5113/
lunedì 1 agosto 2011
Rivolta al CARA di Bari-Palese
Gli incidenti di questa mattina, tra gli immigrati ospiti del CARA di Bari e le forze dell'ordine, sono la diretta conseguenza delle politiche contro i migranti del Ministro dell'Interno Maroni.
Da mesi gli immigrati chiedono, dopo aver effettuato diverse forme di lotta, il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari.
Infatti i migranti ospiti del Cara, cosi come quelli di Manduria, di Palazzo San Gervasio in Basilicata e Mineo in Sicilia, provengono tutti dalla Libia dove lavoravano da anni e hanno perso tutto a seguito della guerra in corso in quel Paese.
L'esasperazione ha portato oggi ad una forma di lotta che non avremmo voluto, ma bisogna anche dire che sono andati a vuoto tutti i tentativi di di trattativa; in questo la responsabilità del Ministro Maroni, che preferisce avere immigrati clandestini anziché immigrati regolari, è grave.
Continueremo a batterci al fianco dei migranti affinchè venga loro concesso il permesso di soggiorno per motivi umanitari e per la chiusura del Campo di Manduria.
Bari, 1 agosto 2011
Sabino De Razza, Segretario Provinciale Rifondazione Comunista Bari
Da mesi gli immigrati chiedono, dopo aver effettuato diverse forme di lotta, il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari.
Infatti i migranti ospiti del Cara, cosi come quelli di Manduria, di Palazzo San Gervasio in Basilicata e Mineo in Sicilia, provengono tutti dalla Libia dove lavoravano da anni e hanno perso tutto a seguito della guerra in corso in quel Paese.
L'esasperazione ha portato oggi ad una forma di lotta che non avremmo voluto, ma bisogna anche dire che sono andati a vuoto tutti i tentativi di di trattativa; in questo la responsabilità del Ministro Maroni, che preferisce avere immigrati clandestini anziché immigrati regolari, è grave.
Continueremo a batterci al fianco dei migranti affinchè venga loro concesso il permesso di soggiorno per motivi umanitari e per la chiusura del Campo di Manduria.
Bari, 1 agosto 2011
Sabino De Razza, Segretario Provinciale Rifondazione Comunista Bari
Al fianco dei migranti del Cara di Bari-Palese
Al fianco dei migranti del Cara di Bari-Palese
Una rivolta annunciata quella dei migranti del C.A.R.A. di Bari-Palese. Stamattina eravamo con loro che hanno manifestato la loro rabbia fuori dal CARA. Eravamo con loro già da quando sono arrivati a Manduria, scappando da una guerra a cui l'Italia contribuisce con il suo arsenale. Eravamo con loro quando sono arrivati al CARA di Bari e hanno deciso di fare domanda d'asilo.
Abbiamo sentito le loro lacrime, le loro grida di rabbia quando hanno ricevuto il diniego in quanto non riconosciuti degni di asilo politico. Proprio così, perché per il Ministero dell'Interno non ha importanza se sei in fuga da una guerra, se la Libia è sotto i bombardamenti della Nato o di Gheddafi o dei ribelli e se è il paese il cui lavori da anni, se avevi una vita, non importa se in Libia ti danno la caccia sia gli uomini di Gheddafi sia i rivoltosi. Non importa insomma da dove vieni: non sei cittadino libico quindi non hai diritto d'asilo.
L'attesa nel C.A.R.A. significa mesi di degrado terribile, senza doccia, con un solo pasto al giorno, isolato dalla città, senza possibilità di vita all'interno di una struttura militarizzata come il CARA di Bari (all'interno appunto di una base dell'Areonautica). E dopo la penosa attesa arriva il diniego del permesso di soggiorno che significa ricevere la condanna definitiva del ritorno all'inferno da cui sei scappato.
Dopo aver chiesto alla Presidenza della Regione, agli Enti Locali, a esponenti politici, dopo aver occupato per due volte i binari, dopo aver manifestato in tanti sotto la Prefettura di Bari senza aver alcuna risposta se non un "si vedrà" stamattina è esplosa la rabbia. Non si può
giocare con la vita delle persone, non si può giocare per equilibri politici con una vicenda umanitaria che quotidianamente assume i tratti della tragedia (mentre stamattina a Bari i migranti manifestavano il Mediterraneo ha fatto arrivare a Lampedusa un altro barcone con altri 25 morti a bordo). Non si può dire come ha fatto il Sottosegretario Mantovano semplicemente che "la violenza è intollerabile", per noi è ancora meno tollerabile attraversare il Mediterraneo scappando da una guerra, vedendo morire i tuoi compagni di viaggio, essere rinchiuso in una tendopoli dove la regola è lo stato di eccezione, e poi ancora attendere in una base militare per essere rispedito verso morte certa o abbandonato a una vita da clandestino. E' intollerabile che dal 1991 ci siano solo risposte di politica emergenziale come l'ultima proposta della Regione Puglia che decide di chiudere la tendopoli di Manduria per riaprire la ex- base militare di San Vito dei Normanni, una discarica di amianto che si vuole trasformare in un´ennesima discarica umana.
Stamattina eravamo al loro fianco e continueremo a camminare con loro imparando dalla loro determinazione la capacità di prendersi ciò che è dovuto senza indietreggiare, senza aver paura, assumendosi fino in fondo le scelte dei gesti che la rabbia ti costringe a compiere. Per proseguire il percorso di sostegno ai migranti che chiedono il permesso di soggiorno e in vista dell'arrivo di mercoledì del sottosegretario Mantovano per discutere della situazione in Prefettura, si terrà l'assemblea antirazzista domani 2/8/2011 alle ore 20:00 alla Parrocchia San Sabino, in Via Caduti Caduti del 28 luglio 1943 n. 5.
Rete Antirazzista Bari
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