Gianluca Nigro, operatore sociale associazione Finisterrae
Ma i caporali a Nardò girano indisturbati
Intervista di Checchino Antonini
Liberazione 11 agosto 2011
«Abbiamo ottenuto poco dall’incontro. Un impegno delle organizzazioni che rappresentano le aziende per coinvolgere le aziende di Nardò ad andare al centro per l’impiego per ingaggiare direttamente i lavoratori. Per noi la soluzione rimane nel chiedere subito un provvedimento legislativo d’urgenza contro il caporalato, perchè secondo noi questa è la questione centrale». Il blog degli scioperanti di Nardò ridimensiona le letture entusiastiche del verbale firmato a Bari 24 ore prima da confederali e Regione. «L’atmosfera a Nardò è abbastanza tesa - spiega a Liberazione, Gianluca Nigro, 41 anni, operatore sociale brindisino, dell’associazione Finisterrae presente alla masseria Boncuri assieme alle Brigate di solidarietà attiva - dopo una settimana di sciopero da parte di 400 braccianti ora qualcuno è stato costretto a tornare al lavoro perché da straniero se non lavori non mangi. E’ per questo che abbiamo lanciato una cassa di resistenza (vedi finisterraeonlus.it o il blog delle brigate ).
La situazione è complessa: alcuni caporali hanno abbassato i prezzi dei cassoni a 2 euro e mezzo, anziché 3,5; alcuni li hanno alzati a 6 euro (un cassone contiene 3 quintali di pomodori, un migrante ne riempie 6/7 al giorno). Quelle che sono emerse sono le contraddizioni reali della legislazione: il caporalato non è reato, l’intermediazione abusiva tra domanda e offerta di lavoro prevede tutt’al più un’ammenda. Si sta cercando di capire la possibilità di un filone di indagine sull’ipotesi di riduzione in schiavitù ma l’Italia non ha recepito la direttiva Ue 52/2009 sulle misure efficaci di contrasto al lavoro irregolare che consentirebbe agli irregolari di denunciare i padroni e accedere a una forma di regolarizzazione non premiale».
Ma chi sono i caporali?
Gli italiani sono ormai marginali, sono ormai quasi tutti stranieri, figure essenziali alla riproduzione del sistema, seguono la transumanza del bracciantato perché questi lavoratori sono percepiti come stagionali nei luoghi di arrivo ma fanno i braccianti tutto l’anno, da Eboli a Pachino, da Foggia al Salento. I braccianti vivono lontano dai centri abitati e vengono loro sottratti, oltre a quote di paga, pezzi di salario sotto forma di pagamento di servizi primari (acqua, panini, trasporto). E’ una forma di sfruttamento criminale che fa leva sull’assoluto isolamento. Le statistiche ufficiali come il rapporto Inea 2010 dicono che in Calabria il 95% degli stranieri in agricoltura sono irregolari.
Ancora una volta il proibizionismo è funzionale alle mafie e alle tratte?
L’economia agricola del Mezzogiorno si fonda su questo meccanismo, la raccolta delle angurie a Nardò la fanno gli stranieri dal 1985. La Bossi-Fini, in questo quadro, s’è rivelata uno strumento di precarizzazione del lavoro che ha anticipato anche la legge Biagi. Quello che abbiamo sotto gli occhi è frutto del depotenziamento norme sul lavoro e del rafforzamento dell’impianto repressivo, come i vari paccchetti sicurezza, che producono lavoro nero.
Cosa produrrà l’accordo sulle listedi prenotazione al collocamento?
La proposta gira dall’anno scorso, ma se non c’è un vincolo per le aziende ha solo un profilo di sensibilizzazione. I 200mila braccianti stranieri del Sud e i 300mila manovali stranieri al Nord sono la platea per le due categorie che, con i contratti provinciali, stanno sperimentando lo smantellamento del contratto collettivo. E inizia a essere evidente un fenomeno di delocalizzazione interprovinciale: le aziende hanno sedi legali in province con contratti più convenienti. Le donne del brindisino, reclutate dai caporali, fanno 300 km per andare nei campi del barese. Questa vicenda spiega come né il sindacato né le sigle datoriali siano rappresentative. I lavoratori di Boncuri sono autorganizzati e le aziende di Nardò dichiarano di non essere iscritte alle associazioni di categoria.
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